L’anno che ci ha appena lasciato è stato denso di importanti avvenimenti e scoperte nel campo dell’archeologia. Molte di esse ci hanno fornito importanti informazioni sul nostro passato e sulle civiltà antiche. Vediamo quali sono state alcune delle più importanti.
Una delle scoperte archeologiche che ha entusiasmato i ricercatori nel 2019 è il ritrovamento di trenta bare ben conservate, sigillate e dipinte, rinvenute nella necropoli di El-Assasif a Luxor, un tempo l’antica città di Tebe. I sarcofagi appartenevano ad un gruppo di sacerdotesse e sacerdoti vissuti durante la XXII dinastia.
Dopo 3000 anni le bare mostrano ancora i loro splendidi colori ed è stato possibile per i ricercatori esaminare i geroglifici presenti sui sarcofagi. All’interno delle bare, i corpi sono ancora presenti, anche se non sono al momento stati rinvenuti manufatti. A nascondere i sarcofagi di 23 uomini, 5 donne e due bambini, fu un sacerdote che voleva nasconderle e preservarle dai predatori di tombe dell’epoca.
Nel luogo sono ancora in corso gli scavi. Gli archeologi proseguono nel loro studio della necropoli e lo studio dei geroglifici e dei dipinti sui sarcofagi, che mostrano le divinità, le scene del Libro dei Morti e le storie dei defunti.
Sempre in Egitto un’altra importante scoperta è stata fatta in questo 2019. Si tratta di una splendida tomba dipinta, appartenente ad un alto dignitario, nel complesso funerario di Djedkara Isesi (2381-2353 a.C.), faraone della V dinastia. Gli archeologi, guidati da Mohamed Megahed, sono risaliti all’identità ed al nome del defunto grazie ai geroglifici presenti sulle pareti della tomba. Si trattava di un uomo di nome Khuwy, “Segretario del Re” e “Compagno della Casa Reale”.
Le pareti della tomba sono splendidamente decorate con dipinti splendidamente conservate nonostante i loro 4300 anni di età. Essi rappresentano scene che raffigurano il defunto in modo “molto insolito nelle tombe del Vecchio Regno”, come ha affermato Megahed. La grande qualità dei dipinti, il luogo di sepoltura, vicino alla piramide del faraone Djedkara e la forma della tomba, così simile a quelle dei faraoni dell’epoca, fanno pensare che il dignitario Khuwy, ricoprisse un ruolo davvero importante alla corte del faraone.
Ma le grandi scoperte di archeologia dello scorso anno non arrivano solo dall’Antico Egitto. Un’altro importantissimo ritrovamento è stato effettuato infatti nel cuore di Roma. La Città Eterna non smetterà mai di sorprenderci: centro del Mondo Antico per molti secoli, infinite sono le sue ricchezze e ancora non le abbiamo conosciute tutte.
Da una crepa apertasi in un soffitto a volta, quasi per caso, gli archeologi hanno individuato una sala sconosciuta in quello che fu il sontuoso palazzo di Nerone, la Domus Aurea, costruita dopo l’incendio che devastò la capitale dell’Impero nel 64 d. C.
La sala scoperta lo scorso maggio è interamente coperta di affreschi e presenta un tetto a volta anch’esso decorato con pitture di pantere, centauri ed una sfinge solitaria che da il nome alla stanza.
E dal cuore dell’Antica Roma, questo viaggio nelle scoperte archeologiche del 2019, ci porta in Messico, vicino all’antica città Maya di Chichen Itza. Qui i due ricercatori Guillermo de Anda (INAH) e James Brady (California State University) hanno percorso strette gallerie e cunicoli fino a giungere, 400 metri sotto terra, in una serie di stanze dagli alti soffitti. Queste stanze erano ricche di manufatti e oggetti che hanno portato i ricercatori ad ipotizzare che si trattasse di stanze sacre e rituali. D’altronde si crede che l’intera esistenza di Chichen Itza sia correlata a questo mondo sotterraneo e sacro per i Maya.
Al sistema di grotte e camere sotterranee, è stato dato il nome di Balamku il “dio giaguaro”, che poteva entrare e uscire dagli inferi. All’interno delle stanze sono stati ritrovati piatti, vasi e bruciatori per l’incenso dedicati al dio dell’acqua Tlaloc. Forse le popolazioni Maya stavano cercando di attirare la benevolenza degli dei su di loro, per far fronte ad una grave siccità.
Ma torniamo in Europa, precisamente in Germania, dove il dente di una donna medioevale ha cambiato la nostra percezione della figura femminile in quel periodo. Ma che cosa aveva di particolare questo dente? Un reperto davvero prezioso, dato che vi è stata trovata una notevole quantità di particelle di blu oltremare. Questo pigmento, di un blu brillante, era infatti molto costoso, dato che veniva prodotto con lapislazzuli provenienti solo da una remota località dell’Afghanistan.
La donna, deceduta tra il 997 e il 1162 d.C., è stata ritrovata in una tomba anonima nel monastero femminile di Dalheim. Probabilmente dunque, ella era una scriba che illustrava manoscritti sacri e che, leccando il pennello durante la pittura, portò la sua bocca in contatto con questo prezioso pigmento.
E sempre in Europa, questa volta in Inghilterra, un importante ritrovamento ci fornisce informazioni sulla tumultuosa storia che ha visto la fine della dinastia sassone su trono di Inghilterra nel 1066, quando Aroldo II fu sconfitto da Guglielmo il Conquistatore, nella battaglia di Hastings.
Il ritrovamento, avvenuto nella Chew Valley, consiste in oltre 2500 penny d’argento, di cui 1236 presentano il viso di Aroldo, mentre 1310 quello di Guglielmo. Queste ultime furono coniate solo dopo l’incoronazione di quest’ultimo come re d’Inghilterra. Tra di esse vi sono anche due monete su cui è presente da un lato il volto di Aroldo e sull’altro quello di Guglielmo.
Per ultimo invece questo viaggio “nell’archeologia del 2019”, ci porta in Tibet e nei meandri più lontani della storia dell’umanità. Qui l’archeologo Dongju Zhang dell’Università di Baishiya Karst, 3.280 m di altitudine sull’altopiano tibetano. Un dato molto importante questo visto che gli esami provano che il campione risale a circa 160.000 anni fa ed apparitene alla specie degli Uomini di Denisova.
Individui di questa specie erano fino ad ora stati rinvenuti solo in Siberia, ma questa scoperta dimostra che la loro distribuzione era molto più ampia. Inoltre da studi precedenti era stato dimostrato che i Denisova presentano una mutazione genetica che gli consente di vivere in scarsa concentrazione di ossigeno. Una caratteristica presente anche nelle popolazioni tibetane, che vivono ad altitudini estreme, e che potrebbero aver ereditato dai Denisoviani che abitavano in questi luoghi.
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