In Siberia è stato nuovamente avvistato un enorme buco nel terreno, comparso a quanto sembra all’improvviso e ripreso casualmente da una troupe televisiva che sorvolava la penisola di Yamal. Si tratta del nono cratere osservato in quest’area da quando il primo fu scoperto nel 2013. Inizialmente la comparsa di questi buchi nel terreno fu attribuita all’impatto di meteoriti e alle improbabili teorie di atterraggi di UFO e esplosioni di basi militari segrete. Ma gli scienziati ritengono si tratti di crateri creati dalle esplosioni di metano accumulatesi nel permafrost siberiano e causate probabilmente dalle calde estati degli ultimi anni, dovute al cambiamento climatico.
La difficoltà di studiare queste formazioni e i subbi sulle cause
Ma che cosa esattamente provochi queste esplosioni spontanee del terreno, non è ancora del tutto chiaro per i ricercatori e ci sono alcune teorie al riguardo. Come ha dichiarato Evgeny Chuvilin, capo ricercatore presso il Centro per il recupero degli idrocarburi dell’Istituto di scienza e tecnologia di Skolkovo, “in questo momento, non esiste un’unica teoria accettata su come si formano questi complessi fenomeni”.
Inoltre studiare queste formazioni è molto difficile in quanto appaiono repentinamente ed in tempo breve, entro 2 anni, si trasformano in laghi e “i crateri vengono trovati per lo più per caso durante i voli di routine, non scientifici, in elicottero o da pastori e cacciatori di renne”.
Secondo i ricercatori la stessa natura del permafrost potrebbe avere un ruolo nella formazione di questi crateri. Il permafrost, che ammonta a due terzi del territorio russo, è infatti un enorme serbatoio naturale di metano, un potente gas serra. L’esplosione di questo gas che porta alla formazione degli enormi buchi potrebbe essere coadiuvata dalle recenti estati calde, come questa del 2020, dovute al cambiamento climatico.
Uno studio dall’interno
Chuvilin è uno dei pochi ricercatori che, assieme al suo team, è riuscito ad entrare in uno di questi crateri, servendosi di attrezzatura da arrampicata. Un evento raro dato il breve periodo in cui si trasformano in laghi. In questo modo ha potuto indagare sulla provenienza del gas e sulla formazione dei crateri.
Il team è riuscito con successo a prelevare campioni di terra e ghiaccio dal permafrost sul bordo dei crateri. Dai dati ottenuti sono riusciti a stabilire che il gas che provoca l’esplosione è principalmente il metano e che questo si accumula da più fonti nello strato superiore del permafrost e negli strati più profondi. Proprio l’accumulo di questo gas sarebbe alla base delle esplosioni che lasciano questi enormi buchi nel terreno. La pressione del gas accumulato è tale da far esplodere gli strati superiori di terra e ghiaccio formando i crateri.
Il cambiamento climatico sembra esserne la causa
Il cratere studiato da Chuvilin, conosciuto come cratere Erkuta, sembra essersi formato in quello che un tempo era un lago, ormai prosciugato. Sotto il lago si è formato un tipo di terreno chiamato talik, una zona non congelata del permafrost che ha iniziato lentamente a ghiacciarsi quando il lago si è asciugato. L’energia immagazzinata dal congelamento viene poi rilasciata in queste potenti esplosioni. Questo fenomeno, che viene conosciuto come criovulcanismo, assomiglia per l’appunto ad un vulcano di ghiaccio.
Chuvulin afferma che “il criovulcanismo è un processo molto poco studiato e descritto nella criosfera, un’esplosione che coinvolge rocce, ghiaccio, acqua e gas che lascia dietro di sé un cratere. È una potenziale minaccia per l’attività umana nell’Artico e dobbiamo studiare a fondo come i gas, in particolare il metano, si accumulano negli strati superiori del permafrost e quali condizioni possono causare queste situazioni estreme”.
Pareri discordanti sul cambiamento climatico come possibile causa
Un’altra ricerca condotta dall’esperta di permafrost, Marina Leibman, dell’Earth Cryosphere Institute presso l’Accademia delle Scienze Russa, ha analizzato cinque di questi crateri utilizzando dati di rilevamento remoto e indagini sul campo. Grazie a questa ricerca hanno stabilito che ci sono alcune caratteristiche simili nella formazione dei crateri.
Prima dell’esplosione ad esempio, si è notata la formazione di un tumulo alto 2-6 metri e che i crateri erano tutti situati su dolci pendii. Inoltra alla base del tumulo si forma prima una porzione inferiore cilindrica del diametro di 20-25 metri.
Anche secondo Leibman “il rilascio di metano dal permafrost è probabilmente causato dall’aumento della temperatura dell’aria e del suolo negli ultimi decenni. La formazione di tutti i crateri di emissione di gas è stata preceduta da estati anomalamente calde”.
Anche se su questa teoria non è completamente d’accordo Vasily Bogoyavlensky, professore presso l’Istituto di ricerca sul petrolio e sul gas dell’Accademia Russa delle Scienze. Nonostante Lieman affermi che “è difficile escludere gli estremi della temperatura dell’aria perché la prima serie di crateri è apparsa dopo l’estrema estate del 2012, l’altra dopo quella del 2016 e il più recente dopo questa calda estate del 2020. Mentre non ci sono stati episodi tra questi periodi”.
Non si può dunque escludere del tutto che il cambiamento climatico stia facendo esplodere il terreno in Siberia. Saranno ancora necessarie molte ricerche per poterlo affermare con certezza, ma questa sembra l’ipotesi più accreditata nella comunità scientifica.
Immagini: Evgeny Chuvilin