Megan Morikawa e Stephen Palumbi, due ricercatori dell’Università di Stanford, hanno scoperto che alcuni coralli, naturalmente resistenti a delle temperature più alte, erano in grado di sopravvivere ad un trapianto in altri luoghi, anche dopo fenomeni come El Niño.
Lo sbiancamento dei coralli e la perdita delle grandi barriere coralline
Il riscaldamento globale e l’innalzamento della temperatura dell’acqua, rappresentano un serio problema per la sopravvivenza dei coralli. Nel 2016 e 2017 abbiamo assistito al massiccio sbiancamento di vaste aeree della Grande Barriera Corallina australiana, a seguito di importanti ondate di caldo. Circa la metà della Grat Coral Reef è andata perduta e ci hanno lasciato anche l’80% dei coralli caraibici.
Lo sbiancamento dei coralli è un processo che porta inevitabilmente alla loro morte e si verifica quando l’aumento della temperatura dell’acqua, induce i coralli ad espellere le loro alghe simbiontiche. La simbiosi con le alghe è, non solo il motivo per cui i coralli hanno dei colori brillanti, ma anche fondamentale per la loro nutrizione e dunque sopravvivenza. La mancata simbiosi porta quindi prima alla perdita del colore, ovvero lo sbiancamento, e successivamente alla morte del corallo.
Il grande impegno della scienza e lo scarso impegno dell’umanità per difendere il nostro patrimonio ambientale
Data la criticità della situazione e lo scarso impegno dell’umanità nella riduzione delle emissioni di gas serra, i ricercatori cercano di far fronte la problema dello sbiancamento con metodi alternativi di recupero della barriera corallina. Grande è l’impegno di ricercatori in tutto il mondo per evitare la definitiva scomparsa dei coralli.
In questo nuovo studio, i due ricercatori della Stanford, hanno esaminato la possibilità di trapiantare nelle zone colpite da sbiancamento, una tipologia di corallo naturalmente resistenti agli aumenti di temperatura. In precedenti ricerche era infatti stato dimostrato che alcune specie di corallo, erano in grado si resistere e sopravvivere anche a temperature più alte.
I ricercatori però non sono ancora sicuri che la resistenza sia una caratteristica propria della specie, o se si tratti soltanto di un caso fortuito presente soltanto in alcuni individui. Ne se vi siano coinvolti alcuni processi ambientali o se le alghe giochino un qualche ruolo nella resistenza di questi coralli.
Per rispondere a queste domande Palumbi e Morikawa hanno trasferito nel 2014, alcuni coralli resistenti nelle isole Samoa per provare a ripopolare le barriere coralline distrutte dagli uragani. Soltanto otto mesi dopo il trapianto, El Niño ha colpito proprio quelle zone, provocando un aumento della temperatura delle acque.
Dopo il passaggio del Niño e del caldo, i ricercatori hanno scoperto che i coralli erano sopravvissuti e questo è un risultato molto incoraggiante. Potrebbe infatti rappresentare una speranza per il recupero delle barriere coralline ormai morte e perdute per sempre.
Secondo i due ricercatori, nonostante i buoni risultati ottenuti, è ancora molto il lavoro da svolgere. Dovranno essere condotte ulteriori ricerche per determinare i fattori che potrebbero condurre ad un migliore e più efficace ripopolamento delle barriere coralline danneggiate.