Non si fermano gli sforzi della comunità scientifica internazionale tesi a studiare e conoscere sempre più a fondo il virus Sars-Cov2, divenuto pandemico nel marzo di quest’anno e che tutt’ora sta mettendo in ginocchio il mondo intero. La pandemia di coronavirus sta facendosi sentire meno in alcuni paesi, come il nostro, ma in maniera molto più drammatica nel continente americano, dove la situazione diventa ogni giorno più seria. Necessariamente, quindi, la partita si gioca sul piano della messa a punto di un vaccino sicuro ed efficace, operazione che però richiede studi propedeutici, primo fra tutti quello relativo ai meccanismi di trasmissibilità.
Per contrastare efficacemente la diffusione del coronavirus è importante comprenderne i meccanismi di trasmissione
Tra mille dubbi ed incertezze, oggi sembra quasi data per assodata la facoltà del virus di trasmettersi da uomo a uomo per via anche aerea, nonostante la (forse eccessiva) cautela dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di prevederla ufficialmente tra le proprie linee guida per la lotta al coronavirus; ma un grande punto di domanda ha finora riguardato la possibilità di trasmissione del virus da madre a figlio durante la gravidanza. Sono molto pochi i casi documentati e l’ultimo, ossia il quarto, arriva da Parigi, dove si è verificato un nuovo caso di trasmissione intrauterina. Ora, gli scienziati sono al lavoro sul materiale genetico della madre, positiva al coronavirus, e stanno analizzando placenta, cordone ombelicale, liquido amniotico e latte materno.
Il professor Daniele De Luca e la dottoressa Alexandra Benachi dell’Università Paris Saclay dirigono il team di ricercatori che sta studiando il caso e hanno spiegato che il virus riesce a superare la barriera uterina e ad infettare il bambino, moltiplicandosi all’interno dell’utero. In seguito, il virus ha attaccato anche il bambino introducendosi nella sua circolazione sanguigna, causando anche nel piccolo sintomi neurologici tipici delle infezioni Covid osservate nei pazienti adulti. Per fortuna, sia la madre che il bimbo si sono successivamente ripresi e sono stati dimessi dall’ospedale.
Nessuno dei neonati, per fortuna, ha presentano malformazioni di alcun tipo riconducibili all’infezione
Un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con i reparti di Ostetricia dell’Ospedale Sacco, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico San Matteo di Pavia, è giunto a risultati del tutto simili circa la trasmissione intrauterina dopo lo studio di due casi di bimbi appena nati, risultati positivi, in cui tracce del materiale genetico del coronavirus erano state trovate nel sangue del cordone ombelicale e della placenta, stando a quanto ha dichiarato il dottor Claudio Fenizia, assistente professore presso il Dipartimento di Fisiopatologia e trapianti dell’Università di Milano.
Le evidenze finora raccolte, quindi, mostrano che la trasmissione del virus può avere non solo luogo attraverso le modalità ordinarie “ambientali“, quali per esempio i droplets o le superfici contaminate, ma può anche arrivare al feto attraversando la placenta. Secondo i ricercatori, l’infezione si presenta più aggressiva nelle fasi finali della gravidanza, ma rassicurano che anche qualora fosse contratta prima il feto potrebbe non essere necessariamente soggetti a rischi particolari, rendendosi però necessario un controllo costante ed accurato del bambino per tutta la durata della gravidanza. Ora dovranno essere le autorità sanitarie a porre in essere tutte le precauzioni del caso, con adeguate misure di sicurezza a beneficio delle madri e soprattutto dei nascituri.