Analizzando il tampone per il coronavirus di un paziente bresciano, l’equipe di Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, ha identificato quella che si potrebbe definire come una variante italiana del virus. L’aspetto interessante di quest’ultima e che presenta molte similitudine con la variante inglese, soprattutto una modifica al recettore cellullare nella cosiddetta posizione 501. La differenza sostanziale è invece una seconda mutazione in posizione 493.
Secondo la parziale ricostruzione fatta finora, questa variante circolava già nel Nord Italia ad agosto ed è quindi lecito pensare che si sia generata verso luglio. La variante inglese sembra essere stata identificata per la prima volta a settembre, ma anche in quel caso sarebbe potuta risultare in circolazione già da prima.
Senza ulteriori analisi in merito, risulta difficile dire chi sia la derivata di chi. Molte strade teoriche si aprono come la presenza di un’altra variante ancora che avrebbe potuto far nascere diversi ceppi nel corso di questi mesi. Di sicuro questo non deve stupire. Questo coronavirus ha avuto molto tempo a sua diposizione e un gran numero di possibilità per mutare.
Coronavirus: le mutazioni e i vaccini
Ovviamente quando si viene a scoprire di una mutazione così importante subito ci si inizia a preoccupare per l’eventuale perdita di efficacia degli attuali vaccini che sono stati sviluppati e sperimentati. Gli esperti sono concordi nel dire che verosimilmente questi trattamenti sono ancora validi, ma manca comunque la certezza piena. Attualmente i ricercatori di tutto il mondo sono alle prese con diverse studi che hanno come focus il SARS-CoV-2 e tra questi ci sono anche quelli che riguardano proprio i vaccini.
Ph. credit: National Geographic