La specie umana è la specie animale più sociale. Non siamo fisicamente in grado di vivere isolati. In questi giorni di confinamento a causa del Covid-19 una parte significativa della nostra socialità e dei nostri affetti, delle nostre amicizie è compromessa e impedita.
L’isolamento è stato da sempre tra le più estreme forme di punizione e tortura. Certo, in questo periodo anche chi vive solo può usare il telefono, lo smartphone e i social per restare in contatto con gli altri. Tuttavia, in quanto animali, la nostra socialità e gli equilibri psichici che da essa dipendono, si realizzano in larga parte attraverso l’interazione fisica, la vicinanza, il contatto.
L’isolamento sociale così costituisce un fattore di rischio molto serio, soprattutto in presenza di altre patologie pregresse o altri rischi di malattia, soprattutto di infezione: ciò che sembra stia accadendo in questa pandemia da Covid-19. i ricercatori hanno chiesto a 43 soggetti di ambo i sessi, con età compresa fra 18 e 47 anni, di pensare prima a sé stessi e poi a 5 persone care, a 5 semplici conoscenti e a noti personaggi.
Mentre il loro cervello veniva studiato tramite risonanza magnetica funzionale, la tecnica di neuroimaging che fornisce un resoconto dell’attività di ogni area di materia grigia. I soggetti dovevano anche esprimere giudizi sulle persone a cui stavano pensando, citandone il nome e indicando il rapporto che avevano con loro.
Più la correlazione affettiva risultava stretta, più la mPFC si attivava con una modalità sempre più sovrapponibile a quella osservata quando pensavano a loro stessi, cioè la più alta, forse a dimostrare che siamo tutti un po’ narcisisti. Al contrario più le persone erano lontane dal cuore, minore era l’attivazione dell’area, fino a non accendersi del tutto per gli sconosciuti.
La sorpresa è stata scoprire che i soggetti identificati come solitari tramite appositi test psicologici, hanno modalità di attivazione della mPFC molto diverse non solo per gli altri; siano essi affettivamente vicini come una fidanzata, o lontani come semplici conoscenze, ma addirittura anche per loro stessi.
Il lockdown ha accentuato la solitudine, un fenomeno più diffuso di quanto si pensi soprattutto fra i giovani; una recente indagine dell’Office of National Statistics, ha evidenziato che in 3 casi su 10 i millennial si sentirebbero sempre o spesso soli. Il distanziamento sociale ha incrementato il fenomeno portandoli a raggiungere valori doppi rispetto ai più attempati boomer.
I giovani che hanno come lingua madre quella della rete, sembrano i più esposti a sviluppare uno stile di vita solitario in cui fuggono dalla socialità reale. Già nel 2018 un’indagine Ipsos indicava rapporti intergenerazionali pre-pandemia simili a oggi: i più soggetti alla solitudine erano i ragazzi della generazione Z, seguiti da quelli della generazione X , dai millennial e infine dai boomer.
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