Chi è Marco Montemagno?
Marco Montemagno è uno dei divulgatori più noti nel panorama della cultura digitale in Italia. Ha curato la rubrica tecnologica di SkyTg24 per più di 7 anni, ha portato in Italia la prima Startup school e la Social Media Week, è il fondatore di SuperSummit e di BlogoSfere. La sua pagina Facebook, nella quale pubblica un video al giorno, è diventata un punto di riferimento per i cultori della comunicazione digital e non solo.
Marco Montemagno è seguito da più di 320mila persone e i suoi contenuti vengono visualizzati in media due milioni di volte al mese. A gennaio ha pubblicato il suo primo libro “Codice Montemagno”, best-seller su Amazon e Ibs, esaurito e ristampato in tempi record.
Intervista a Marco Montemagno
In questa intervista entreremo nel mondo delle startup innovative in Italia e toccheremo vari aspetti della comunicazione digitale. Iniziamo subito:
Matteo Gallone – Redazione FocusTech: Ciao Monty, entriamo subito nel vivo. Ritieni che Facebook possa essere la vetrina ideale per le aziende e per chi cerca di affermarsi all’interno di uno specifico mercato?
E’ più giusto investire per costruire un proprio sito web o impiegare le proprie risorse finanziarie per creare e sponsorizzare buoni contenuti per le pagine “social”?
Marco Montemagno: Sono due temi separati. La situazione di Facebook ad oggi è dominante: stiamo già parlando di una piattaforma che rappresenta il punto centrale per la promozione di qualsiasi tipo di azienda o attività. Questo è un dato di fatto, non un’opinione ne una previsione.
E’ un social che, solo in Italia, conta più di 30 milioni di persone attive e registrate. Con Facebook Ads hai la possibilità di promuovere i tuoi contenuti su target strettamente specifici, personalizzabili e super granulari, cosa che fino a poco tempo fa era impensabile. Hai a disposizione un livello di profondità sul quale puoi operare con un budget estremamente ridotto e in modalità self service.
Una piattaforma del genere cambia tutte le carte in tavola, è un media totalmente dominante rispetto alla TV.
Per quanto riguarda, invece, sito web vs social, è un tema molto dibattuto. I siti internet hanno avuto uno stravolgimento totale, per vari motivi: le interfacce stanno cambiando, la voce sta diventando un elemento indispensabile (basti pensare ad Alexa – assistente virtuale di Amazon) ed il concetto di funzionalità ha assunto una veste differente.
Se hai un brand personale, il tuo sito diventa molto poco rilevante (io, ad esempio, ho una semplice landing page). Se sei, invece, un e-commerce, il sito web è una piattaforma importante da presidiare. La newsletter ormai ha fatto il suo tempo, mentre i BOT garantiscono un tasso di apertura di quasi il 100%, un metodo vincente per aggregare e generare nuovi clienti.
Quindi, il peso dei social è sempre più imponente. Non c’è una risposta standard, il tutto ruota intorno all’oggetto dell’attività.
MG-Rft: Se dai uno sguardo all’ecosistema startup del 2017, cosa vedi? Quanta innovazione c’è in Italia rispetto alle altre realtà internazionali?
MM: Vivendo in Inghilterra da parecchio tempo ho sicuramente un pò perso il polso dell’ambiente startup italiano. Però vi assicuro che dall’esterno si ha una sensazione di un ecosistema estremamente vivo, vivace ed in grande crescita.
Il gruppo “Italia startup scene” dove un tempo eravamo quattro gatti adesso conta più di 20mila persone: Stefano Bernardi ha fatto un gran lavoro.
In Italia ci sono un sacco di realtà interessanti. Quel che posso dire da “outsider” è che l’ambiente delle Italian startup si è fortemente solidificato, circolano contatti con esperienza, ci sono sempre più soldi a disposizione e non nascono unicamente startup tech, ma qualsiasi persona, con la più svariata competenza, tira su un proprio modello di business alternativo.
MG-RFT: Come mai la scelta di trasferirti all’estero? L’Italia è un paese adatto per intraprendere l’attività di “Imprenditori di se stesso” nel digital?
MM: Mia moglie è inglese ed ho 4 figli che vivono e studiano qui, per cui la mia è stata una scelta senz’altro personale.
Professionalmente parlando, dopo aver fatto sette anni di SkyTg24, la Social media week in Italia, Blogosphere e vari altri eventi “tech”, arrivi ad un punto in cui ti chiedi: “Ok, ma se provo a mettere il naso fuori da qui cosa mi aspetta, cosa mi potrebbe succedere?”
Per quanto riguarda il divenire un imprenditore di se stesso in italia: assolutamente sì, anzì oggi più che mai! Una buona parte dell’Italia ragiona ancora con la cultura del posto fisso, ma è assolutamente improduttivo perché l’automazione c’è e va affrontata. Nel 2017, come puoi pensare di avere l’arroganza di farti assumere da un’azienda e farla diventare la tua mamma per il resto della vita, dimenticandoti per sempre il problema del lavoro?
Costruirsi un piano di backup nel quale si coltiva il proprio brand o immagine personale è sicuramente una scelta da ponderare, poiché senz’altro ci aiuterà ad essere unici ed insostituibili al livello professionale.
MG-Rft: È vero che non esistono investitori “venture” per le startup innovative italiane? In altre parole, è vero che l’investitore italiano ha paura del mondo digitale?
MM: Senz’altro. Escludendo gli “addetti ai lavori” (business angel, venture, ecc.) che sanno ben calcolare il rischio che comporta un determinato investimento all’interno di una startup, possiamo dire che l’investitore professionale, abituato a lavorare con il mercato immobiliare, non ha in mente l’idea che una realtà innovativa possa far dei numeri pazzeschi in poco tempo. Quindi c’è un fattore culturale che ben differenzia le tipologie di investitore.
MG-Rft: Filippo Astone nel suo libro “Industriamo l’Italia” scrive: “Ogni azienda manifatturiera dovrà trasformarsi, a suo modo, in una software house”. Secondo te, le fabbriche intelligenti del futuro diventeranno simili ad un social network? Macchine, forza lavoro e risorse produttive comunicheranno e interagiranno tra loro?
Non credi che con tutta questa intelligenza artificiale (big data, robot, bot ecc) rischiamo non solo di farci rubare il lavoro manuale ma anche quell’approccio intellettuale alla progettazione?
MM: Non conosco il libro di Astone, ma rimedierò! Le previsioni del futuro non sono mai profezie, sono scenari possibili la cui determinazione dipende molto dalle nostre scelte. Nel campo dell’innovazione, non solo devono essere considerati gli ostacoli tecnici, ma anche quelli politici, normativi, sociali ecc.
Questo discorso vale anche per l’industria 4.0: la Cina ha sostituito il 90% dei lavoratori con macchine e la produttività è aumentata del 250% con un 80% di errore in meno.
Sembrerebbe una figata che invoglia l’imprenditore ad utilizzare solo macchine automatizzate, ma che ne sarà della forza lavoro?
Una cosa è certa: nel lungo periodo avremo degli algoritmi che funzionano decisamente meglio rispetto agli esseri umani. Sei hai un algoritmo che è veramente un fottuto genio del business, tu azienda lo ascolti o ti fai guidare dall’istinto?
Quindi, abbiamo da un lato la straordinaria opportunità di poter implementare le varie tipologie di business e di industria ad alto livello, dall’altro lato dobbiamo essere vigili sulla direzione da dare a questo mondo. A me piace l’idea che non siamo noi asserviti alla tecnologia ma sia la tecnologia a supporto dell’essere umano, that’s it.
MG-Rft: Siamo in un’era in cui, nel marketing, si compete anche sul piano narrativo.
Quali sono secondo te le strategie per riuscire a fare un buon storytelling, che sia però allo stesso tempo diretto, efficace ed esauriente?
Ken Segall diceva: “Il concetto di ‘semplicità’ è uno dei più ingannevoli al mondo”. Sei d’accordo?
MM: Sono un cultore della semplicità. Ritengo che se non sai spiegare in modo semplice ciò che fai non ci hai capito una mazza tu per primo. Il più grande errore commesso da tante aziende o professionisti è che quando indossano il loro “cappellino business” si dimenticano totalmente della loro reazione da consumatori, andando ad ottimizzare un framework narrativo che è molto corporate, alle volte freddo e con degli standard pallosi ed ingessati, che finisce per non interessare più nessuno.
In molti parlano del proprio prodotto o servizio ma non si focalizzano su quello che è realmente intrigante, utile e coinvolgente per i consumatori. Lo storytelling è fondamentale, anche se non è cambiato molto rispetto alle tecniche narrative del passato. Ovviamente abbiamo dei nuovi strumenti (vedi le stories, gli snap ecc). In quei pochi secondi, dove hai la possibilità di streammare h24 la tua attività, devi comunicare nel miglior modo possibile un contenuto, e come la affronti dal punto di vista narrativo questa cosa? Devi riuscire a trovare il giusto mix di equilibrio tra semplificazione ed approfondimento.
MG-Rft: Tu ci tieni particolarmente a specificare che non sei affatto un motivatore. Ritieni che i motivatori siano i “falsari del mental coaching”?
Il miglioramento personale dovrebbe essere curato da figure professionali e qualificate, magari disciplinate da un ordine di professionisti?
MM: Esatto, la motivazione è un realtà da cui io sono lontano anni luce. Sono un’imprenditore, faccio video dove condivido la mia esperienza, le mie opinioni su temi di comunicazione digital o news di attualità, attraverso una lente ben specifica. Se ti spiego come fare video, come creare contenuti, come aumentare le views del tuo canale ma tu non passi dalla teoria alla pratica, tutto questo serve a ben poco. Non ho il corso dove ti insegno a camminare sui carboni ardenti, fai tu quello che vuoi motivandoti da solo.
Poi sai, dietro all’approccio motivazionale c’è un’industria enorme, che alle volte fa leva sulla debolezza delle persone. Una tecnica un po’ bastarda per entrare nelle case delle persone.
Sicuramente è molto più costruttivo ispirare le persone a fare qualcosa. In quella che oggi viene chiamata “l’industria dell’ottimismo” i temi sono ormai scontati: basta prendere un libro di filosofia, Socrate, Platone, Aristotele avevano già detto tutto 2000 anni fa.
Poi c’è comunque gente molto in gamba, Tony Robbins è da 50 anni che riscontra risultati concreti all’interno di questo circuito.
MG-Rft: Clayton Christensen, nell’introduzione del suo famoso libro “Il dilemma dell’innovatore” si pone una domanda fondamentale: Perché il successo è così difficile da sostenere per un’impresa innovativa?
MM: Questa osservazione va presa sotto vari punti di vista: un’impresa può essere molto innovativa in un solo settore e stop. Google, è oggi un’impresa innovativa? Forse si è solo rinnovata, pur di evitare di uccidere la gallina dalle uova d’oro (in riferimento a Google Adwords).
Il tema da considerare, è che puoi essere molto innovativo all’interno di un’area specifica, ma poi corri il pericolo di rimanere fermo lì per tutta la vita.
Per cui ritengo che per raggiungere il successo nell’innovazione bisogna tener ben presente questa frase: “le persone non devono avere paura di cambiare ma devono aver paura nel rimanere uguali“.
E’ il mercato che detta le regole e tu devi essere in grado di trovare quel costante turning point che ti consente di adattarti e di combattere la sindrome di status quo andando contro l’ordinarietà.