La Silicon Valley si oppone ad una delle prime scelte politiche – molto controversa – del neo presidente degli USA Donald Trump: Il MuslimBan.
Il nuovo numero uno degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo con cui il governo a stelle e strisce, per i prossimi tre mesi, vieta l’ingresso a tutti gli immigrati provenienti da sette paesi: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen. Anche i possessori di green card (un’autorizzazione rilasciata dalle autorità degli Stati Uniti d’America che consente ad uno straniero di risiedere sul suolo degli U.S.A. per un periodo di tempo illimitato) non avranno accesso libero negli USA.
Tutte le società tecnologiche con sede nella Silicon Valley, fra cui colossi come Facebook, Google, Apple e Uber, si schierano contro questa scelta del neo presidente in quanto fra i propri dipendenti sono molti quelli provenienti dai sette paesi “esclusi” momentaneamente da Trump.
Nel frattempo le società coinvolte hanno chiesto ai propri dipendenti provenienti dai sette paesi del MusliBan di restare in paese, di annullare i viaggi fuori dagli USA e di contattare quanto prima il dipartimento delle risorse umane. Solo in Google, secondo Sundar Pichai, amministratore delegato di bigG, sarebbero circa 190 i dipendenti provenienti dai sette paesi toccati dal Ban di Trump.
Google istituisce un fondo di 4 milioni di dollari
Google ha inoltre messo mano al portafogli istituendo un fondo di emergenza per aiutare le associazioni che operano sul fronte immigrazione: American Civil Liberties Union, l’Immigrant Legal Resource Center, l’International Rescue Committee e la UNHCR. 4 milioni di dollari è la cifra messa sul piatto dal colosso di Mountain View, di cui metà messa a disposizione volontariamente da dipendenti e dirigenti.
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Anche Facebook ed Apple si sono schierate in prima linea. Lo stesso Mark Zuckerberg ha dichiarato che “gli Stati Uniti sono una nazione di immigrati: dovremmo esserne orgogliosi, anche perché essi sono il nostro futuro.”