L’astronomia ha molti campi di studi, alcuni molti diversi dagli altri. Tra questi ce n’è uno particolare che è stato messo in piedi abbastanza di recente e ben poco non conosciuto. A cercare online non si trova praticamente niente. Si tratta della necroplanetologia, o come la chiamano negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la necroplanetology.
L’interno campo di studio in questione è nato di seguito all’avvistamento di una stella particolare nel 2015, WD 1145 + 017. Nessun nome, solo un codice identificativo per una stella morta pronta a divorare tutto quello che aveva intorno in un processo noto come interruzione delle maree; in inglese tidal disruption.
Lo spunto preso dall’osservazione di questa nana bianca ha permesso la creazione di alcuni concetti che vengono poi applicati ad altri eventi simili, un modo per comprendere meglio l’evento dietro la morte dei pianeti che orbitano intorno a una stella morta.
Necroplanetologia: lo studio dei pianeti morti
Le esplosioni che conseguono dalla morta di una stella sono generalmente in grado di spazzare via senza problemi i pianeti circostanti, ma in certi casi qualcuno sopravvive, per così dire. Il corpo celeste rimane in orbita della nana bianca la quale riesce anche ad assorbire alcuni dei materiali più pesanti.
La parte più interessante riguarda proprio i pianeti morti in orbita alle stelle simili a WD 1145 + 017. Presentano caratteristiche uniche come una densità bassa tanto da interrompere la rotazione del mantello, ma abbastanza alta da mantenere la struttura tipica di un pianeta roccioso.
Le parole dei ricercatori dietro a tali scoperte: “Questi sono i primi membri di una classe più ampia di sistemi planetari morenti che devono essere studiati accoppiando osservazioni spettroscopiche e fotometriche con simulazioni di interruzione. Questo approccio su più fronti userebbe la morte di questi sistemi planetari in azione per studiare le proprietà fondamentali dei corpi esoplanetari altrimenti inaccessibili: uno studio in necroplanetology”.