Dopo il Nobel per la fisica assegnato ieri ai tre scienziati britannici David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz, oggi è il turno del Nobel per la Chimica che è stato aggiudicato da un altri trio di scienziati: Jean-Pierre Sauvage, dell’università francese di Strasburgo, Sir J. Fraser Stoddart, dell’americana Northwestern University, e Bernard L. Feringa, dell’università olandese di Groningen.
I tre chimici hanno ottenuto l’ambito premio per il lavoro svolto nello sviluppo e creazione di macchine molecolari, in grado di eseguire movimenti che le cellule compiono in condizioni naturali, come la contrazione muscolare. Ciò permetterà, in futuro, di progettare dispositivi sempre più piccoli, che potrebbero dare adito ad una sorta miniaturizzazione dei dispositivi tecnologici.
I tre vincitori del premio Nobel per la Chimica sono riusciti a dare vita a delle vere e proprie nanomacchine dalla dimensione di miliardesimi di metro. In pratica, le macchine di questi tre luminari funzionano in maniera simile a meccanismi che vediamo tutti i giorni nella dimensione che ci appartiene, su “scala normale”, quindi con ingranaggi, interruttori e quant’altro, ma composti letteralmente di molecole e atomi.
Sauvage, Stoddart e Feringa hanno adottato un approccio alla realizzazione delle loro macchine molecolari simile a quello che ha un ingegnere nella progettazione di una macchina, ma invece di utilizzare componenti come valvole, pistoni, viti e bulloni hanno combinato e incastrato fra loro delle molecole.
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Le macchine molecolari: ecco cosa sono
Le macchine molecolari – che hanno la dimensione di un miliardesimo di metro (per rendere l’idea, un capello è pari a 100.000 nanometri) – si muovono se viene fornita loro energia, e la loro costruzione si basa appunto sul movimento che è possibile fare eseguire alle molecole in funzione della struttura voluta. I primi passi sono stati mossi nel 1983 da Sauvage, che riuscì ad unire due molecole ad anello e farle scivolare una nell’altra. Successivamente Stoddart, nel 1991, ha dato vita ad un anello che ruotava attorno ad un perno centrale. È stato poi Feringa, nel 1999, grazie alle scoperte dei colleghi, a creare una sorta di motore in grado di far muovere piccolissimi oggetti.