Come gli antichi dei delle leggende maori, anche gli uomini hanno creato un’isola tra le acque cristalline dell’Oceano Pacifico. Non ci sono palme, spiagge da sogno o enormi fiori colorati: solo ammassi di plastica e rifiuti di ogni genere.
Nell’area in cui confluiscono le correnti oceaniche subtropicali, nel Nord dell’Oceano Pacifico, sorge infatti la Great Pacific Garbage Patch, ovvero un’enorme isola di plastica galleggiante.
Ottanta mila tonnellate di bottiglie, imballaggi ed altri frammenti di umanità usa e getta, che scintillano nel blu scuro naturale dell’acqua come un cielo stellato. “Great”, grande. Tuttavia di grande in realtà, ha solo la dimensione. Si tratta di una delle poche entità terrene conosciute, che è talmente ampia che la sua reale estensione non è ancora nota.
Le stime più accreditate spaziano dai 700.000 agli 1.6 milioni di km2. L’intera Penisola Iberica oppure due volte il Texas. Un vero e proprio continente, più che un’isola. La sconfinata distesa di immondizia arriverebbe a coprire addirittura il 5.6% dell’Oceano Pacifico.
L’esagerato accumulo di plastica nell’Oceano Pacifico venne scoperto nel 1988 dai ricercatori della NOAA, ma fu solo 9 anni più tardi, nel 1997 che la notizia destò l’interesse mondiale grazie al capitano oceanografo Charles J. Moore che, durante una traversata in barca a vela, si ritrovò circondato da un mare di rifiuti.
Nel 2013 l’artista Maria Cristina Finucci, al quartiere generale dell’UNESCO a Parigi, presentò per la prima volta il Garbage Patch State, un’installazione e performance artistica con l’obiettivo di contribuire ad accrescere ulteriormente l’interesse verso quest’isola di plastica nell’Oceano.
Secondo i ricercatori della Ocean Cleanup Foundation, sulla base del modello matematico elaborato, è possibile stimare che l’isola di plastica accolga una massa compresa tra 45-129 mila tonnellate di plastica estendendosi per un’area di 1,6 milioni di km2. Le microplastiche costituiscono ben il 94% dell’enorme quantità di pezzi di plastica confluita nell’isola e solo l’8% della massa totale. Lo studio stima inoltre che il 10-20% della massa di rifiuti del GPGP potrebbe provenire dallo tsunami del Giappone del 2011.
Anche l’UNEP conferma che la situazione è più grave di quanto si percepisca: ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, un valore 20 volte superiore a quello degli anni Sessanta. Se non modificheremo i consumi entro il 2050, il peso della plastica galleggiante negli oceani supererà quello dei pesci e il 99% degli uccelli marini ingerirà plastica.
In pratica, frammenti di materia plastica di varia pezzatura vengono colonizzati da alghe ed altri microorganismi in un processo noto come biofouling. Uno degli esempi più chiari di alterazione umana degli ecosistemi del Pianeta. Lì sotto potrebbero trovarsi altre decine di milioni di tonnellate di microplastiche, con dimensioni dall’ordine di grandezza del nanometro. Analisi di questo tipo saranno fondamentali per farci comprendere per quanto tempo ancora queste piccole icone dell’Antropocene si libreranno in acqua, contaminando la fauna marina.
Il Great Pacific Garbage Patch (GPGP) non è l’unica isola di rifiuti che galleggia negli oceani: ne esistono delle altre, di cui le più grandi si trovano nella parte meridionale dell’Oceano Pacifico, nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano.
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