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Con l’elezione di Robert Francis Prevost al soglio pontificio, sotto il nome di Leone XIV, la Chiesa cattolica accoglie un pontefice con un passato da matematico. Un dettaglio che potrebbe sembrare secondario, ma che invece apre prospettive interessanti su uno dei temi più affascinanti e complessi sia per la teologia che per la matematica: l’infinito.
Scegliere di chiamarsi Leone XIV, in onore di Leone XIII — noto per il suo impegno nel conciliare fede e scienza — è forse più di un gesto simbolico. Potrebbe indicare un’intenzione chiara: riprendere il dialogo tra spiritualità e razionalità, tra il mistero della fede e la logica dei numeri.
In matematica, l’infinito è un oggetto elusivo: dalla sequenza dei numeri primi ai decimali infiniti, la mente umana ha cercato di afferrarlo senza mai contenerlo davvero. Anche la teologia si misura con l’infinito, descrivendo Dio come eterno, onnipotente, senza inizio né fine.
Queste due strade si sono incontrate nella figura di Georg Cantor, il matematico tedesco che nel XIX secolo formalizzò il concetto di infiniti reali attraverso i numeri transfiniti e la teoria degli insiemi. Per Cantor, fervente luterano, la matematica era una via per avvicinarsi al divino, e il simbolo che scelse per rappresentare l’infinito, ℵ (Aleph), ha forti risonanze mistiche.
Cantor intrattenne un dialogo epistolare con Papa Leone XIII, uno dei pochi pontefici che ebbero il coraggio e la lucidità di sostenere l’armonizzazione tra le scoperte scientifiche moderne e la dottrina cristiana. Fu un tempo in cui la Chiesa guardava alla scienza non con sospetto, ma come una sorella nella ricerca della verità.
È in questo solco che potrebbe inserirsi Leone XIV, segnando un ritorno alla “matematica spirituale” di cui parlava Cantor, capace di dare un senso alla realtà che va oltre ciò che è misurabile.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale, la fisica quantistica e la filosofia della mente ridefiniscono i confini della conoscenza, l’elezione di un papa con una formazione matematica potrebbe non essere un caso. È un segnale. Un invito a ripensare i grandi misteri — Dio, l’anima, l’eternità — con strumenti nuovi, ma con la stessa sete di senso.
Leone XIV, con il suo doppio sguardo — scientifico e spirituale — potrebbe essere il pontefice di cui il mondo ha bisogno: uno che non teme l’infinito, ma che prova ad abitarlo.
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