Per molte persone, lavorare in un bar affollato o prendere la metropolitana durante l’ora di punta è solo parte della routine quotidiana. Per altre, invece, questi ambienti possono risultare estremamente stressanti, se non addirittura debilitanti. La scienza oggi ci aiuta a capire perché: i cervelli non sono tutti uguali nella gestione del rumore.
Il rumore ambientale attiva molteplici aree del cervello, ma non tutti riescono a filtrare le informazioni irrilevanti allo stesso modo. Questa capacità, chiamata “attenzione selettiva”, è il meccanismo che ci permette di concentrarci su una conversazione anche in mezzo al caos. Quando l’attenzione selettiva funziona poco o male, il cervello viene travolto da una valanga di stimoli non richiesti.
Troppo rumore? Il cervello di alcuni non riesce a filtrarlo
Le differenze individuali in questa funzione possono dipendere da fattori genetici, dall’età o dalla presenza di condizioni neurologiche. Per esempio, chi convive con l’ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) o con l’autismo può trovare particolarmente difficile gestire ambienti ricchi di stimoli sonori, proprio perché il cervello fatica a stabilire cosa sia rilevante e cosa no.
Anche lo stress gioca un ruolo fondamentale. In situazioni di ansia o stanchezza cronica, il sistema nervoso diventa più reattivo. Di conseguenza, suoni normalmente tollerabili — come una risata forte o il ticchettio di una tastiera — possono sembrare assordanti o irritanti. Questo fenomeno è noto come “sensibilità uditiva aumentata“.
Secondo alcuni studi di neuroimaging, le persone più sensibili al rumore mostrano un’attivazione maggiore dell’amigdala, la regione del cervello associata alle emozioni e alla risposta di “lotta o fuga”. Il rumore, in questi casi, non viene elaborato solo come stimolo uditivo, ma anche come potenziale minaccia.
L’esperienza può migliorare la capacità di filtrare i suoni
Un altro elemento importante è l’allenamento cognitivo. Chi è abituato a vivere o lavorare in ambienti rumorosi sviluppa una maggiore tolleranza, anche se non sempre. L’esperienza può migliorare la capacità di filtrare i suoni, ma non annulla le differenze neurologiche di base.
Infine, è fondamentale ricordare che la difficoltà a gestire il rumore non è una debolezza, ma una caratteristica neurobiologica. Riconoscerla è il primo passo per creare ambienti più inclusivi, ad esempio attraverso spazi “a bassa stimolazione” in scuole, uffici o mezzi pubblici.
In un mondo sempre più frenetico e rumoroso, comprendere le differenze nella percezione sensoriale non è solo una questione scientifica, ma anche sociale. La sensibilità al rumore riguarda milioni di persone e merita attenzione, rispetto e soluzioni concrete.
Foto di Lisa Yount su Unsplash