Foto di Kimia Zarifi su Unsplash
Farsi fare un piercing non si può certo definire esattamente un’operazione invasiva, ma comunque prevede ferire la pelle dell’individuo per l’inserimento di, generalmente, un oggetto metallico. L’operazione è semplice, ma essendo una ferita può anche infettarsi e non dipende solo dalla natura di una ferita in sé, ma anche dalla nostra pelle. Quest’ultima è di fatto viva e presenta un suo microbioma che in seguito a tale operazione va a cambiare in modo significativo.
Quando si parla del corpo umano, il microbioma più conosciuto è quello dell’intestino, ma non è l’unico. Dovunque su di noi vivano piccoli organismi e l’aggiunta di un oggetto di metallo cambia molto la vita di quest’ultimi. Sono stati studiati da vicini quelli delle orecchie e ci sono diversi passeggi di cambiamento. Il primo, quasi ovvio se ci si pensa, è la sterilizzazione dell’area interessata per poter perforare la pelle con più sicurezza.
La pulizia iniziale crea un terreno vuoto che quindi può essere riempito da chiunque arrivi per primo. La presenza di una zona più sensibile, una ferita marginata con un suo microclima dovuto all’oggetto metallico, offre però casa a microbi di solito presenti in zone come le ascelle o il naso. Si parla di batteri come Staphylococcus epidermidis e Cutibacterium acnes che pososno risultare pericolosi.
Le parole dei ricercatori dell’istituto canadese McGill University: “Abbiamo scoperto che, nel tempo, il nuovo ambiente del piercing era significativamente associato a una maggiore biodiversità e complessità ecologica, con differenze fondamentali nella natura delle interazioni biotiche rispetto alla pelle esposta del lobo dell’orecchio. Sappiamo dall’antropologia e dalla sociologia che i piercing sono simboli di espressione, connessione e identità unicamente umani.”
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