Un team di astronomi dell’ Earth & Planets Laboratory presso la Carnegie Institution for Science e dell’Università del Colorado ha individuato quello che sembra essere il più grande flare mai osservato su Proxima Centauri.
Per individuare questo intenso brillamento gli astronomi hanno utilizzato le osservazioni dell’Australian Square Kilometre Array Pathfinder (ASKAP), dell’Atacama Large Millimeter / submillimeter Array (ALMA), del telescopio spaziale Hubble della NASA, del Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), sempre della NASA e del du Pont Telescope.
Unendo gli sforzi di tutti questi sofisticati osservatori spaziali, il team di ricerca ha osservato questo straordinario evento in quella che è la stella a noi più vicina. Si tratta di una stella di piccola massa, una nana rossa di classe spettrale M5.5, ossia una nana rossa al limite inferiore di massa.
Proxima centauri: una stella piccola e buia ma molto attiva
Proxima Centauri è infatti la più piccola stella del sistema di Alpha Centauri e si trova a “soli” 4.244 anni luce di distanza, nella costellazione meridionale del Centauro. La sua luminosità totale, comprendendo tutte le lunghezze d’onda, è pari allo 0,17% di quella del Sole. Proxima Centauri è dunque 1.000 volte meno luminosa del Sole, che anche a distanza ravvicinata la rende dunque invisibile ad occhio nudo.
Ma, anche se molto meno luminosa del Sole, questa piccola stella è molto più densa e circa l’88% della superficie di Proxima Centauri potrebbe essere attiva, molto più di quella del Sole quando è al picco del ciclo solare. Anche durante i periodi di quiescenza con pochi o nessun brillamento, l’attività costante di Proxima Centauri, ne aumenta la temperatura della corona fino a 3 milioni di °K, mentre quella solare raggiunge al massimo i 2 milioni.
Il più intenso flare mai osservato su questa stella
Per diversi mesi Meredith MacGregor, astrofisica presso il Dipartimento di Scienze Astrofisiche e Planetarie dell’Università del Colorado, ed i suoi colleghi, hanno osservato Proxima Centauri utilizzando i telescopi terrestri e spaziali che abbiamo elencato. E grazie a queste lunghe osservazioni, hanno scoperto che il 1° maggio del 2019, sulla superficie di questa piccola stella scura, è avvenuto un intenso evento di flaring.
Avendo osservato, in diverse lunghezze d’onda, questo evento, con l’utilizzo di 5 tra i più sofisticati e famosi osservatori terrestri e spaziali, i ricercatori sono riusciti ad ottenere una traccia dei tempi e dei dettagli dell’evento altamente dettagliata. Sino ad ora nessun flare, su una stella che non fosse il Sole, era mai stato tanto dettagliato.
La dottoressa Alycia Weinberger, astronoma del Earth & Planets Laboratory presso la Carnegie Institution for Science, ha infatti dichiarato: “ora sappiamo che questi osservatori molto diversi che operano a lunghezze d’onda molto diverse possono vedere lo stesso impulso veloce ed energetico”. E tutti questi strumenti così diversi, hanno infatti individuato tutti lo stesso evento del 1° maggio 2019, della durata di appena 7 secondi, il più luminoso mai rilevato nelle lunghezze d’onda millimetriche e ultraviolette.
MacGregor ha spiegato che durante il brillamento “la stella è passata, nell’arco di pochi secondi, da normale a 14.000 volte più luminosa se osservata nelle lunghezze d’onda ultraviolette, In passato, non sapevamo che le stelle potessero brillare nelle lunghezze d’onda millimetriche, quindi questa è la prima volta che andiamo alla ricerca di bagliori millimetrici. Quei segnali millimetrici potrebbero aiutare i ricercatori a raccogliere più informazioni su come le stelle generano bagliori”.
Il brillamento di Proxima Centauri è un bel problema per i suoi due esopianeti
Ovviamente la registrazione di questo evento ha le sue ripercussioni anche sullo studio dei due esopianeti scoperti in orbita attorno a Proxima Centauri, Proxima b, un pianeta terrestre scoperto nel 2016; e Proxima c, una super Terra individuata nel 2019.
Questo bagliore, della potenza di circa 100 volte maggiore del più intenso brillamento solare mai osservato, potrebbe infatti avere serie conseguenze sull’eventuale abitabilità di questi esopianeti, soprattutto se dovessero verificarsi troppo spesso.
Ph. Credit: Roberto Molar Candanosa / Carnegie Institution for Science, NASA / SDO, NASA / JPL