Uno studio ha dimostrato che le regioni più umide potrebbero essere “risvegliate” dall’innalzamento del livello del mare, principale conseguenza del riscaldamento globale. Il livello del mare è infatti direttamente correlato alla quantità di carbonio che queste zone umide immagazzinano nel loro suolo, riporta la rivista Nature.
I ricercatori hanno studiato il carbonio contenuto nei nuclei di fango delle zone umide di tutto il mondo. Dicono che la conservazione delle zone umide costiere è fondamentale per mitigare il riscaldamento globale.
Un tesoro seppellito sotto tonnellate di fango
Il team che ha condotto lo studio è stato guidato da scienziati dell’Università di Wollongong in Australia. Quando le piante muoiono, piuttosto che decomporsi e rilasciare il loro carbonio nell’atmosfera, vengono sepolte dal fango. Con l’innalzamento del livello del mare, strati di sedimenti seppelliscono il materiale ricco di carbonio, bloccandolo sotto gli strati fangosi.
Il ricercatore capo, il professor Kerrylee Rogers, dell’Università di Wollongong, ha spiegato: “Questo sedimento non solo seppellisce e intrappola il materiale organico, ma determina anche un innalzamento del livello delle zone umide, con effetti diretti sulle temperature e quindi sul riscaldamento globale“.
Il fattore umano sarà determinante
Ma le zone umide costiere, per immagazzinare più carbonio, avranno bisogno di maggiore spazio, ha spiegato Patrick McGonigal dello Smithsonian Environmental Research Center nel Maryland. “La domanda fondamentale a cui rispondere è quante zone umide rimarranno tali e come gli umani gestiranno le porzioni di terra adiacenti“, ha detto a BBC News.
“Le zone umide possono espandersi finché hanno spazio, quindi è un quesito estremamente importante“, continua McGonigal. A livello globale, i ricercatori hanno sottolineato che le paludi sulle coste dell’Australia, della Cina e del Sud America potrebbero essere i “giganti dormienti a guardia del carbonio“.
Come adattarsi?
Le zone umide costiere soffrono infatti a causa delle comunità insediatesi lungo le coste. “Attività come la pesca e l’allevamento ittico hanno un impatto diretto. Anche le imprese terrestri, che beneficiano della protezione delle dighe, impediscono alle zone umide di adattarsi al cambiamento del livello del mare“, sostiene Rob Shore, responsabile del programma di conservazione presso Wildfowl e Wetlands Trust.
“Poiché la costa attraversa i confini nazionali, l’unico modo per affrontare la questione è attraverso la cooperazione internazionale, così abbiamo chiesto a molti paesi di aderire a un forum globale che cerchi di bilanciare tutti questi interessi“, sostiene Shore.