Il canto degli uccelli sarà un sempre di più un evento raro e si stima che il 2030 potrebbe segnare la scomparsa dei volatili dai cieli. Questa strage non risparmierà neanche le specie più comuni e diffuse. Le cause principali sono l’agricoltura intensiva e i cambiamenti climatici, entrambe imputabili all’uomo. A queste vanno aggiunti anche incendi e bracconaggio.
Già nel 1962, Rachel Carson predisse l’estinzione degli uccelli nel suo saggio ambientalista, Primavera silenziosa: la studiosa aveva ragione perché gli scienziati stimano che entro la fine di questo decennio, i volatili si estingueranno. Non si tratta solo delle specie già a rischio, ma anche di quelle più comuni, come sottolinea la mappatura realizzata dall’organizzazione BirdLife International intitolata State of the world’s birds.
“I dati parlano chiaro. Stiamo attraversando un peggioramento, costante e progressivo, dello status degli uccelli del pianeta”, ha affermato la caporedattrice del report Tris Allinson. “Le minacce che stanno portando all’estinzione sono molte e varie, ma indubbiamente dietro c’è l’uomo”. Il 40% delle popolazioni di oltre 11 mila specie esistenti stanno diminuendo: inoltre, una ogni otto è prossima all’estinzione.
Questo fenomeno deve essere un campanello d’allarme perché i volativi sono diffusi in qualunque ecosistema, e forniscono informazioni sulla salute del luogo in cui vivono. Ma l’estensione dei terreni coltivabili da parte dell’uomo ha costretto gli animali a convivere con insetticidi neonicotinoidi: questi causano la riduzione della loro massa corporea e influiscono persino sulle migrazioni. Naturalmente, all’agricoltura si aggiungono l’opera di disboscamento, la presenza di animali esterni all’habitat – che costituiscono una minaccia – e i bracconieri.
Ad aggravare il quadro d’insieme, ovviamente, è il cambiamento climatico, con tutte le conseguenze che comporta. L’aumento delle temperature del globo modifica i ritmi e gli itinerari di migrazione. A questo si deve aggiungere la distruzione degli alberi e dei nidi, per via degli incendi più catastrofici, come quelli australiani.
Occorre chiamare in causa un altro elemento, collegato alla crisi climatica, ossia le onde di calore. Quella emessa dall’Oceano Pacifico tra il 2013 e il 2016 ha portato a una strage tra le urie: si stimano circa un milione di uccelli morti di fame. A causa delle temperature più alte, i pesci predatori hanno cominciato a mangiare molto più pesce, sottraendo alle urie le loro prede.
Le onde di calore, nei mari e nell’atmosfera, sono sempre più frequenti e secondo gli scienziati sono destinate ad aumentare. Secondo un articolo pubblicato dalla rivista Nature, dal 1925 al 2016 la frequenza di questi eventi è aumentata del 54%. Per fare un esempio più attuale, questo gennaio nelle isole Chatham, a 800 km a est dalla Nuova Zelanda, le temperature sono di circa 6 gradi al di sopra della media, una ventina gradi al posto dei consueti 15.
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