I super batteri resistenti agli antibiotici sono una delle principali problematiche legate alla sanità pubblica in questo momento, per avere un ordine di grandezza basta dire che almeno 2 milioni americani ogni anno vengono infettati. Stando ai dati che arrivano dal Center for Disease Control and Prevention, almeno 23 mila persone muoiono ogni anno a causa di queste infezioni. Servirebbe un antibiotico in grado di sconfiggere questi batteri multiresistenti.
Forse l’arma che serviva è stata trovata e si tratta di una scoperta che parla italiano. Teniamo presente che la maggior parte delle infezioni batteriche sono facilmente trattabili con semplici antibiotici, ma dottori, ricercatori e amministratori della sanità sono sempre più preoccupati circa gli effetti della diffusione degli antibiotici negli alimenti e nei trattamenti medici, i batteri implementano capacità di risposta e mutano di conseguenza.
Il nuovo antibiotico che parla italiano
La maggior parte degli antibiotici che utilizziamo oggi sono stati scoperti oltre mezzo secolo fa durante “L’età d’oro” della scoperta antibiotica, un periodo che va dagli anni 40 agli anni 70, la maggior parte di questi antibiotici sono stati sviluppati partendo da micro-organismi presenti nel terreno.
Gli scienziati si sono concentrati per molti anni sullo sviluppo di sostanze sintetiche, certi che tutti gli antibiotici presenti nel terreno siano stati ormai scoperti. Il Professor Richard Ebright, direttore dell’Istituto Waksman di Microbiologia all’Università Rutgers, è però riuscito a smentire tale convinzione.
Ebright e i suoi colleghi sono riusciti a sviluppare un nuovo antibiotico partendo da campioni di terra prelevati in Italia, L’antibiotico in questione, denominato pseudouridimicina (o PUM), è in grado di combattere in maniera efficace numerose tipologie di batteri multiresistenti. “Un ritorno all’approccio classico”, così Ebright ha descritto il modus operandi del suo team.
Lo staff ha utilizzato i metodi più sofisticati per identificare gli agenti anti-batterici e alla fine è stato trovato un vincitore. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Cell, dimostrano come la pseudourimicina sia in grado di bloccare l’RNA batterico impedendo la crescita di batteri gram-positivi e gram-negativi.
L’inibizione dell’RNA polimerasi batterico (non ha alcun effetto su quello umano) rende questa sostanza fonte di ottimismo. Nel giro di pochi anni potrebbe dunque farsi largo una nuova categoria di antibiotici a largo spettro, determinanti nel trattamento di infezioni virali quali l’epatite C o l’HIV.
Fonte: seeker.com