Svezia e coronavirus: un modello fallito e da non seguire

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I paesi colpiti dal coronavirus hanno quasi tutti portato avanti delle misure per ridurre il contagio identiche la cui unica differenza sono state le tempistiche di applicazioni e di rimozione. Detto questo, qualche paese ha voluto fare di testa sua. Tra questi c’è la Svezia. Il paese scandinavo ha voluto farsi forte della bassa densità abitativa e dell’alto senso civico della propria popolazione. Il modello è fallito.

Ormai è noto che il discorso dietro l’immunità di gregge non ha funzionato, così come non stava funzionando i primi giorni nel Regno Unito. Le vittime sono state troppe, soprattutto nelle case di riposo. Visto che non era stato imposta nessuna misura rigida, lo Stato aveva l’obbligo di proteggere almeno gli anziani, fallendo anche in quello.

Anche il predecessore epidemiologo di stato svedese ha detto la sua, dopo che è stato zitto per settimane. Anche lui concorda sul fatto che avrebbero dovuto fare di più. Non mettere in atto restrizioni severe, tanto da limitare in parte la libertà del cittadino, è stato un errore.

 

Coronavirus e Svezia: un modello mancato

Le parole di Annika Linde, epidemiologo di stato dal 2005 al 2013:

“Penso che abbiamo avuto bisogno di più tempo per la preparazione. Se avessimo chiuso molto presto. Durante quel periodo saremmo stati in grado di assicurarci di avere ciò che era necessario per proteggere i vulnerabili. La percezione di base è stata, penso, che prima o poi, indipendentemente da ciò che fai, avrai l’intera popolazione infetta Quindi, quando il mio successore ha detto che appiattiremo la curva e proteggeremo i vulnerabili, ho pensato che raggiungere l’immunità della mandria dopo un po’ non era esattamente un cattiva idea. Questo è stato come un sogno, ma con pochissime basi nella realtà”

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