I videogiochi fanno male o no? Se lo chiedono in tanti da decenni ormai, sono molti a pensare che la causa di molti fenomeni di violenza sia l’attività videoludica. Demonizzare il progresso e le mode di ogni tempo è abitudine che ritroviamo spesso nel corso dei secoli, ma non per questo è detto che non ci sia nulla di vero.
Un nuovo studio scientifico – i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature – evidenzia la correlazione tra videogames e danni cerebrali, opera di ricercatori dell’Università di Montréal e della McGill University, sotto i riflettori in particolare il collegamento tra “sparatutto in prima persona” e perdita di materia grigia nell’ippocampo.
Non tutti i videogiochi fanno male al cervello
Il mercato dei videogames ha smosso 91 miliardi di dollari lo scorso anno, parliamo di un business in continua espansione ma non mancano voci critiche da più parte. Gregory West e Veronique Bohbot hanno diretto l’esperimento, che prevedeva test su soggetti dai 18 ai 30 anni, precedentemente non videogamer, gli individui sono stati monitorati per quattro anni.
Due gruppi, da una parte chi utilizza la memoria spaziale, dall’altra chi utilizza il nucleo caudato, zona del cervello sopra al talamo che contribuisce ad attività quali vista e movimento.L’85% delle persone che hanno giocato per più di sei ore alla settimana hanno evidenziato un maggiore utilizzo del nucleo caudato e un corrispondente calo di materia ippocampale.
Cosa significa, in parole povere? Fondamentalmente, giocare FPS (first person shooter) impatta negativamente sull’abilità di ricordare posti e questo può avere conseguenze sulla vita quotidiana, come sottolinea il Professor Wets. Persone con minore materia grigia nell’ippocampo sono più esposte allo sviluppo del disordine da stress post-traumatico, stesso discorso vale per la depressione in età giovanile e il morbo di Alzhaimer con il passare degli anni.
Più si gioca, più gravi sono i danni registrati, stando a quanto suggerisce il team di ricerca l’utilizzo del nucleo caudato porta a una sorta di “apprendimento con pilota automatico”. La maggior parte delle mappe degli FPS sono piuttosto piccole, con un limitato numero di posizioni per appostarsi e nascondersi. Solitamente, l’obiettivo è raggiungere una di queste posizioni più rapidamente possibile e abituare il proprio cervello a lavorare così può risultare dannoso.
Una parte interessante dello studio è l’osservazione degli effetti legati ad altri tipi di videogioco. Pensiamo a platform come i giochi della serie Super Mario, in questo caso i soggetti non riportano danni all’ippocampo. Non è dunque il gioco in sé a far male, ma la prospettiva legata a un certo genere. I dati emersi da questo studio chiaramente non chiudono la questione, tanti test verranno ancora svolti.
Fonte: geek.com