Paracetamolo in gravidanza e rischio di autismo: cosa dicono gli studi più recenti

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Il paracetamolo è da lungo tempo considerato uno dei farmaci più sicuri per il dolore e la febbre in gravidanza, ed è usato frequentemente. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni studi epidemiologici hanno segnalato possibili associazioni tra l’esposizione prenatale al paracetamolo e un rischio leggermente aumentato di disturbi del neuro-sviluppo nei bambini, tra cui l’autismo e l’ADHD. Questo ha acceso il dibattito: si tratta solo di correlazioni, o ci sono segnali di causalità che dovrebbero cambiare le linee guida?

Cosa suggeriscono gli studi epidemiologici

Uno studio svedese su oltre 2,4 milioni di bambini (nati fra 1995 e 2019) ha confrontato quelli esposti al paracetamolo in utero con quelli non esposti. Nei modelli che non tengono conto dei fattori familiari/genetici, si è vista un’associazione marginale tra uso prenatale e autismo, ADHD o disabilità intellettiva. Ma l’analisi tra fratelli (cioè confrontando fratelli con esposizione differente) non ha trovato un aumento significativo del rischio.

Un altro studio danese (DNBC, cohort nazionale) con oltre 64.000 bambini ha osservato che l’uso materno di paracetamolo era legato a un rischio maggiore di autismo solo quando era presente anche un disturbo iperattivo (hyperkinetic disorder), e in particolare con esposizione prolungata (oltre 20 settimane).

Studi che suggeriscono associazioni positive

Una meta-analisi europea che ha aggregato dati da sei coorti ha trovato che i bambini esposti al paracetamolo in gravidanza avevano una probabilità circa del 19% in più di manifestare sintomi dello spettro autistico (ASC) e del 21% in più di sintomi di ADHD, rispetto a bambini non esposti.

Altri studi più vecchi avevano già individuato che esposizioni prolungate o dosi elevate potevano essere correlate a ritardi nei traguardi motori, difficoltà di comunicazione, e problemi comportamentali nei primi anni di vita.

Limiti metodologici: confondenti, dose, durata

Molti studi presentano limiti importanti:

  • Confondenti: spesso non è chiaro se sia il motivo per cui il paracetamolo è stato preso (febbre, infezione, dolore) che agisce sul rischio, più che il farmaco stesso.
  • Misure di esposizione: la durata, la dose, il momento in cui è stato assunto (primo, secondo o terzo trimestre) variano molto, e spesso sono auto-riportate.
  • Design di studio: alcuni studi non controllano i fattori genetici o familiari; quelli che lo fanno (per esempio con confronti tra fratelli) tendono a trovare un rischio molto più modesto o assente.

Evidenze che rassicurano: studi negativi e pareri ufficiali

Secondo una pubblicazione recente e vari organismi sanitari (tra cui la UKTIS, la MHRA nel Regno Unito, l’EMA in Europa), non ci sono prove sufficienti per affermare che il paracetamolo in gravidanza causi autismo nei bambini. Le linee guida cliniche non sono cambiate: il paracetamolo è considerato l’analgesico/antipiretico di prima scelta quando necessario, sempre alla dose più bassa efficace e per il minor tempo possibile.

Uno dei punti forti è lo studio svedese menzionato che, comparando fratelli, mostra che le associazioni nei modelli standard spariscono o si attenuano molto. Questo suggerisce che molti effetti osservati potrebbero derivare da fattori condivisi nella famiglia.

Possibili meccanismi biologici (ipotesi)

Anche se la causalità non è stata stabilita, gli scienziati hanno proposto vari meccanismi biologici che spiegherebbero come un’esposizione prenatale al paracetamolo potrebbe, teoricamente, influenzare lo sviluppo neurologico:

  • Paracetamolo può alterare processi infiammatori o immunitari materni, che a loro volta possono influenzare lo sviluppo cerebrale del feto.
  • Accumulo di stress ossidativo, o effetti sul metabolismo, che possono avere un impatto se l’esposizione è prolungata o ad alte dosi.
  • Interferenza su segnali neurotrasmettitoriali (ancora ipotetica) o su altri sistemi molecolari critici dello sviluppo fetale.

Cosa raccomandano gli esperti per le donne in gravidanza

Alla luce delle prove finora disponibili, gli esperti consigliano:

  • Continuare a usare paracetamolo solo quando necessario, ad esempio per febbre significativa o dolore che non si può gestire diversamente, sempre sotto consiglio medico.
  • Usare la minima dose efficace e per il minor tempo possibile.
  • Evitare l’automedicazione prolungata.
  • Monitorare attentamente sintomi come febbre o infezioni durante la gravidanza, perché non trattarle può anch’esso comportare rischi sia per la madre che per il feto.
  • Non cambiare le terapie abituali senza consultare un professionista sanitario.

Dove stiamo e cosa serve

In sintesi, attualmente la scienza non ha confermato che l’uso di paracetamolo in gravidanza sia la causa di autismo nei bambini. Esistono alcune associazioni osservate, ma spesso deboli, con grandi margini di incertezza dovuti a confondenti, variabilità delle esposizioni, e difficoltà nei design degli studi. Gli esperti raccomandano cautela, ma non l’allarmismo: il paracetamolo rimane un’opzione valida quando serve. Per chiarire il quadro, servono studi futuri ben disegnati, con dati precisi su dose, momento dell’esposizione, controllo genetico, e lunghe osservazioni. Solo così potremo capire davvero se ci sia un rischio e, se presente, come minimizzarlo.

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Annalisa Tellini
Annalisa Tellini
Musicista affermata e appassionata di scrittura Annalisa nasce a Colleferro. Tuttofare non si tira indietro dalle sfide e si cimenta in qualsiasi cosa. Corista, wedding planner, scrittrice e disegnatrice sono solo alcune delle attività. Dopo un inizio su una rivista online di gossip Annalisa diventa anche giornalista e intraprende la carriera affidandosi alla testata FocusTech per cui attualmente scrive

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