Alcuni team di ricercatori hanno trovato traccia di cellule T attive contro il Coronavirus, nei sangue di pazienti guariti dal Covid-19. Alcuni indizi fanno ben sperare ad un’immunità duratura anche se c’è ancora bisogno di ulteriori approfondimenti.
Mentre le cellule B del sistema immunitario producono anticorpi che bloccano il nuovo coronavirus, le sue cellule T forniscono un’altra linea di attacco, secondo una nuova ricerca. I ricercatori hanno scoperto che le cellule T di pazienti guariti possono colpire il virus. Questa è una notizia promettente per gli sviluppatori di vaccini perché “coerente con l’immunità normale, buona e antivirale”.
Come già sappiamo, gli anticorpi sono quelle molecole prodotte dal linfociti B che riconoscono gli antigeni specifici del patogeno e ci si attaccano interferendo con l’infezione e segnalando al resto del sistema immunitario la presenza dell’intruso da eliminare. E’ sulla produzione di anticorpi contro la proteina spike del coronavirus Sars-Cov-2 che si sta giocando la partita del vaccino in questo momento.
Lo studio appena pubblicato dalla rivista Cell aggiunge ulteriori dettagli sugli altri meccanismi di difesa che il nostro organismo mette in campo per combattere il nuovo Coronavirus, concentrandosi in particolare sul ruolo dei linfociti T, che sono definiti i guerrieri del sistema immunitario, quelli che attivamente vanno a combattere gli aggressori.
In realtà esistono diversi tipi di cellule T e non agiscono tutte nullo stesso modo. Per esempio esistono linfociti T Helper, che aiutano altre componenti immunitarie ad attivarsi. Inoltre esistono linfociti T Killer che mirano il bersaglio e lo distruggono.
Lo studio ha fatto emergere chenei campioni di tutti i 20 pazienti guariti erano presenti linfociti T helper che riconoscono sia la proteina spike di Sars-Cov-2 sia altre proteine virali. Il 70% dei pazienti guariti, poi, presentava anche linfociti T killer diretto contro il nuovo Coronavirus.
I ricercatori hanno poi effettuato un controllo sul sangue di pazienti che non si sono mai ammalati di Covid-19 e hanno scoperto che c’erano dei linfociti T in grado di riconoscere e combattere Sars-Cov-2. Hanno trovato che nel 34% dei campioni c’erano linfociti T helper per Sars-Cov-2; poi hanno fatto il test su campioni di sangue conservati raccolti tra il 2015 e il 2018 (quindi prima della pandemia di Covid-19) hanno visto la stessa cosa nel 50% delle persone.
Il team pensa che ciò sia possibile grazie al fenomeno della cross reattività, dove le cellule T si siano differenziate a causa di un’altra infezione le cui strutture proteiche sono simili a quelle del nuovo Coronavirus. La presenza di linfociti T attivi contro Covid-19 nei pazienti guariti farebbe ben sperare in un’immunità duratura, anche se è ancora tutto da verificare.
La presenza di cellule T in chi non ha contratto il nuovo Coronavirus, invece, potrebbe significare che più persone di quante si creda abbiano già delle armi a propria disposizione contro il virus. Tutto sta a capire ora se la cross reattività sia uno scudo protettivo o un’arma a doppio taglio, che determina reazioni immunitarie esagerate quando il nuovo Coronavirus infetta l’organismo.
Infine questi risultati offrono un nuovo punto di vista sulla progettazione di un futuro vaccino: la ricerca dovrebbe concentrarsi anche su altri antigeni oltre che sulla proteina spike.
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