Sappiamo che il Covid-19 lascia sintomi, avvolte molto gravi, anche per molti mesi. Proprio la gravità di questi sintomi, diventati insopportabili nel tempo, ha evidenziato una correlazione tra quest’ultimi e l’aumento dei rischi di suicidio. Ciò è stato evidenziato maggiormente dalla morte del CEO di Roadhouse, Kevin Taylor, suicidatosi per le complicazioni del Covid-19.
Prima di togliersi la vita si è impegnato a finanziare uno studio clinico per aiutare i membri delle forze armate che soffrono anche di acufene. L’acufene è spesso descritto come un ronzio nelle orecchie che gli altri di solito non possono sentire. Può anche manifestarsi come ronzio, ruggito, clic, sibilo o ronzio.
L’acufene è un problema comune. Colpisce circa il 15-20% delle persone ed è particolarmente comune negli anziani. È solitamente causato da una condizione sottostante, come la perdita dell’udito correlata all’età, una lesione all’orecchio o un problema con il sistema circolatorio. Per molte persone, l’acufene migliora con il trattamento della causa sottostante o con altri trattamenti che riducono o mascherano il rumore, rendendo l’acufene meno evidente.
Taylor è stato tra i tanti che hanno lottato per far fronte agli effetti debilitanti a lungo termine del Covid-19, che oltre all’acufene includono affaticamento, annebbiamento cerebrale costante e perdita di memoria. Questi sintomi sono ancora in fase di studio poiché il numero di casi evidenziati va oltre i 30 milioni. Un nuovo studio ha dichiarato che i sopravvissuti a Covid-19 potrebbero continuare a soffrire di mal di testa, vertigini, convulsioni e altre condizioni neurologiche molto tempo dopo la loro diagnosi.
Diventati fonti di fortissimo stress questi sintomi possono trasformarsi in fattori psicologici, portando a possibili idee di suicidio. I pazienti con questi sintomi devono essere sottoposti a screening per la depressione e molti sopravvissuti alla malattia avranno bisogno di interventi psicologici a lungo termine. I sintomi possono avere un impatto devastante sulla salute mentale, rendendo la depressione e l’ideazione suicidaria un rischio per il processo di guarigione.
Una recente ricerca ha anche scoperto che i pazienti con “Long Covid” erano a rischio significativo di sperimentare depressione e disturbo da stress post-traumatico. Studi che hanno monitorato i pazienti Covid-19 21 giorni dopo la diagnosi e 60 giorni dopo la dimissione hanno mostrato che circa il 50-80 % dei pazienti ha continuato a non sentirsi bene fino a tre mesi dopo la prima diagnosi, mesi dopo che i test non hanno più rilevato un virus vivo nei loro corpi.
Molto spesso questa condizione viene paragonata alla sindrome da stanchezza cronica. Anche qui i pazienti con questa sindrome avevano una probabilità sei volte maggiore di morire di suicidio. Molti pazienti con la sindrome da stanchezza cronica oltre a lottare con i sintomi debilitanti devono lottare con il fatto che gli altri non credono a questa condizione.
Mentre i fattori di rischio di suicidio, come ansia, isolamento sociale, stress economico e ideazione suicidaria sono aumentati durante la pandemia, è importante che tutti comprendano che il rischio di suicidio è complesso e anche i fattori protettivi svolgono un ruolo potente. In effetti molti pazienti “Long Covid” hanno cercato aiuto e supporto online, tramite gruppi di sostegno su Facebook.
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