L’attenzione pubblica sulla foresta amazzonica ha raggiunto un picco le ultime settimane dell’ultima estate. Grossi incendi che stavano distruggendo chilometri su chilometri del cosiddetto polmone verde del pianeta. Certo, si trattava di uno degli eventi più distruttivi del genere di sempre, eppure sono 10 anni che gli alberi in quella regione bruciano, non un evento circoscritto. Oltre incendi possiamo contare anche il normale disboscamento utile per creare spazi aperti per miniere, edificazione o agricoltura e allevamento.
Qual è il risultato di un decennio di disboscamento? La perdita di 62.159 chilometri quadrati di foresta, 24.000 miglia quadrate. Un metro di misura spesso utilizzato in questi casi? 8,4 milioni di campi da calcio. Questi calcoli si basano sul monitoraggio portato avanti dall’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale. Questo non è un danno solo a livello ecologico, e per diversi motivo, ma anche sociale per tutte quelle popolazioni che si basano proprio sulla foresta.
La deforestazione della foresta amazzonica
Si, è vero, gli alberi producono ossigeno, ma non è l’unica loro attività utile all’uomo. La foresta in questione è responsabile dello stoccaggio di oltre 180 miliardi di tonnellate di carbonio. Uno studio condotto in passato ha evidenziato che ogni tonnellate di emissioni di carbonio ha un costo che è stato calcolato in base agli effetti del suo rilascio in aria. Il costo per tonnellata? 370 euro, o 417 dollari.
Questo dato indica che nell’ultimo decennio la deforestazione ha causato non solo un danno ecologico enorme, ma anche un danno economico notevole. Miliardi su miliardi di danni i quali andranno ad accumularsi con i prossimi.