Gli esseri umani, da sempre, mostrano una curiosa attrazione verso eventi catastrofici, morti violente e tragedie. Nonostante questi temi evochino paura e angoscia, continuano ad affascinare e catturare l’attenzione di milioni di persone. Che si tratti di notizie, film, libri o documentari, la morte e i disastri tendono a monopolizzare il nostro interesse. Questo fenomeno solleva una domanda fondamentale: perché siamo così attratti da ciò che rappresenta il lato oscuro dell’esistenza?
Uno dei motivi principali alla base di questo interesse è legato alla nostra biologia. L’evoluzione ha modellato il cervello umano per reagire prontamente alle minacce. Quando assistiamo a immagini di disastri o sentiamo storie di morti improvvise, il nostro cervello attiva una risposta di allerta. Questo meccanismo, che affonda le sue radici nell’istinto di sopravvivenza, ci spinge a prestare attenzione a potenziali pericoli per poterli evitare. L’interesse verso il negativo, quindi, non è altro che una forma evolutiva di autoprotezione.
Sempre più attratti dal fascino oscuro
Il concetto di catarsi, introdotto da Aristotele, descrive il processo di purificazione emotiva attraverso l’esperienza indiretta della tragedia. Guardare un film catastrofico o leggere di eventi mortali ci permette di affrontare le nostre paure più profonde in un ambiente sicuro e controllato. La finzione ci consente di esplorare gli scenari peggiori senza doverne affrontare le conseguenze reali. In questo modo, l’attrazione verso il macabro e il disastro ci offre una sorta di “terapia” emotiva, un’occasione per confrontarci con la morte senza esserne travolti.
Con l’avvento dei social media, il nostro accesso a notizie negative è diventato continuo e illimitato. Il fenomeno noto come “doomscrolling” si riferisce all’abitudine di scorrere incessantemente notizie angoscianti, quasi in modo compulsivo. Questo comportamento, benché potenzialmente dannoso, si basa su una combinazione di curiosità e desiderio di sentirsi informati. Ogni notizia di disastro alimenta una forma di “dopamina negativa”, che ci tiene incollati allo schermo. Anche se ne siamo consapevoli, spesso non riusciamo a distaccarci da questo ciclo perché il nostro cervello è programmato per cercare risposte e soluzioni.
Esiste un concetto estetico chiamato “sublime“, introdotto nel XVIII secolo, che descrive la sensazione di meraviglia e terrore che emerge di fronte a forze naturali imponenti, come un uragano o un’eruzione vulcanica. Questo senso del sublime, che mescola paura e ammirazione, può spiegare in parte il nostro interesse verso immagini spettacolari di disastri. C’è qualcosa di stranamente bello nella distruzione, qualcosa che cattura il nostro immaginario e ci spinge a osservare, quasi incantati, ciò che altrimenti ci terrorizzerebbe.
L’attrazione verso eventi tragici e disastrosi non è solo individuale ma anche collettiva. Disastri naturali, pandemie o grandi tragedie creano un senso di comunità, permettendo alle persone di condividere emozioni e preoccupazioni. Paradossalmente, eventi che seminano morte e distruzione possono unire le persone, creando un senso di solidarietà e vicinanza. In questo contesto, parlare e discutere di eventi drammatici diventa un modo per elaborare insieme il dolore e per sentirsi meno soli nelle proprie paure.
La curiosità è una delle forze motrici dell’essere umano
La morte rappresenta il più grande enigma dell’esistenza umana. Attraverso l’osservazione e l’analisi di eventi tragici, cerchiamo inconsciamente di dare un senso a ciò che è intrinsecamente caotico e ineluttabile. Le storie di disastri, specie se presentate attraverso i media, vengono spesso strutturate come narrazioni con cause, conseguenze e, talvolta, insegnamenti. Questo processo di narrazione ci aiuta a inserire la morte e la tragedia in una cornice comprensibile, alleviando in parte l’angoscia dell’incertezza.
La curiosità è una delle forze motrici dell’essere umano. Siamo naturalmente spinti a esplorare l’ignoto, e pochi ambiti sono più sconosciuti e affascinanti della morte e della distruzione. La nostra attrazione verso ciò che è oscuro e misterioso è legata al bisogno di comprendere cosa succede oltre i confini della nostra esperienza quotidiana. Anche quando siamo consapevoli che tali eventi suscitano ansia, il desiderio di “sapere cosa accade” spesso prevale.
Non possiamo trascurare l’influenza dei media nel perpetuare e amplificare il nostro interesse per eventi drammatici. I giornali, la televisione e i social media spesso enfatizzano storie di disastri e morte perché sanno che attraggono un vasto pubblico. Questo sensazionalismo crea un circolo vizioso in cui la domanda di notizie drammatiche alimenta l’offerta, e viceversa. Siamo continuamente esposti a contenuti che solleticano le nostre paure, contribuendo a renderle parte integrante della nostra esperienza quotidiana.
L’attrazione umana verso eventi legati alla morte e ai disastri, per quanto inquietante possa sembrare, è profondamente radicata nelle nostre paure, curiosità e nella necessità di trovare un senso nell’insensato. È una combinazione di istinto, cultura e biologia che ci spinge a guardare in faccia ciò che più temiamo, cercando al contempo di comprendere, elaborare e, in qualche modo, controllare l’inevitabile.