Molti modelli computerizzati erano stati molto chiari: se l’uomo avesse continuato a inquinare e a far crescere la popolazione in un mondo non sostenibile, la fine della civiltà potrebbe scomparire entro la fine del secolo. Basti pensare ai cambiamenti climatici, alle microplastiche che si annidano in ogni angolo della Terra, i modelli sembrerebbero essere dei giorni nostri, ma questi modelli, uno in particolare che tra poco scopriremo, risale al secolo precedente il 1972, nel libro “I limiti della crescita”, edito dal Club di Roma, un’organizzazione internazionale di scienziati e intellettuali fondata nel 1968.
Il libro ha portato con se innumerevoli polemiche e ha venduto milioni di copie in più i 30 lingue. Si trattava, infatti, di una modello computerizzato molto precoce, completata su una macchina a schede perforate al Massachusetts Institute of Technology, che simulava in modo molto semplificato complessi sistemi globali. Le previsioni del modello erano del tutto altisonanti con importanti conseguenze.
Fine della civiltà umana, entro il 2072 potrebbe verificarsi
Il modello aveva prodotto scenari in cui l’umanità diventava più sostenibile ed equa, e quindi prosperava, oppure continuava a permettere che il capitalismo saccheggiasse il pianeta e la nostra civiltà fino all’estinzione. Quello che è emerso è che intorno al ventunesimo secolo, l’evoluzione di alcune variabili come la popolazione, la produzione e l’inquinamento, avrebbero portato ad un collasso della civiltà umana. In occasione dei 50 anni del libro l’autore viene intervistato per capire cosa sia cambiato durante la metà del secolo e di come la popolazione possa cambiare rotta.
Il libro è stato un tentativo serio e rigoroso di utilizzare al meglio non solo le conoscenze, ma anche gli strumenti informatici, che all’epoca erano piuttosto rudimentali, per simulare una serie di scenari futuri, per indagare questa grande domanda. In alcuni scenari era possibile trovare un equilibrio tra il benessere o lo sviluppo umano e la limitatezza delle risorse sulla Terra. Tuttavia cosa può portare al collasso e cosa può salvare la civiltà? Le variabili principali sono cinque: popolazione, produzione alimentare, produzione industriale, risorse naturali e inquinamento.
Ciò che produce il collasso nella maggior parte degli scenari è una combinazione: non si tratta di una sola cosa. Nel caso dei combustibili fossili, la causa è sia il consumo delle riserve di combustibili fossili sia l’inquinamento. Il punto fondamentale per cercare di creare uno scenario d’equilibrio è l’equità. È la qualità delle nostre relazioni con gli altri esseri umani, con la natura, che rende possibili gli scenari in cui è possibile separare il benessere dalla crescita dei consumi. Abbiamo una capacità incredibile di sviluppare nuove tecnologie, ma il punto è che non le sfruttiamo partendo dal presupposto che debbano ridurre l’impronta ecologica.
Il benessere deriva dalle relazioni
Dobbiamo considerare che il benessere deriva dalle relazioni, e non necessariamente da un alto grado di consumo materiale. Dobbiamo considerare che possiamo ridurre drasticamente l’impronta ecologica dei cosiddetti paesi ricchi. Può sembrare strano, perché siamo così abituati ad associare il benessere al consumo materiale. Dobbiamo essere in grado di trovare un’equilibrio con il pianeta in cui viviamo. Ciò che il sistema ha fatto, come meccanismo per continuare a crescere a tutti i costi, è stato bruciare il futuro. E il futuro è la risorsa meno rinnovabile.
Ci sono anche buone ragioni per essere ottimisti. E queste ragioni sono forse meno ovvie, meno evidenti, meno presenti nei titoli dei media e altrove. Siamo convinti che ci sia un cambiamento culturale in corso, spesso nascosto in bella vista. Molti stanno sperimentando, spesso a livello di comunità, cercando di trovare la propria strada verso quell’equilibrio, un benessere all’interno di una biosfera sana. La rivoluzione umana è già in atto, solo che non la vediamo. E forse è un bene che non la possiamo vedere ancora, fino al momento in cui farà cambiare molte cose.
Foto di Hans Braxmeier da Pixabay