A Runit, un isolotto che fa parte delle Isole Marshall, nell’Oceano Pacifico centrale, c’è una grande cupola di cemento. Fu costruita dagli Stati Uniti nel 1980 per conservare le scorie nucleari derivate dalle decine di test su bombe atomiche condotti nei decenni precedenti.
A distanza di quasi 40 anni, quella cupola sta crepando e viene raggiunta sempre più di frequente dalle acque oceaniche, a causa dell’innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale.
In una recente visita in alcune isole del Pacifico, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha detto di essersi confrontato con la presidente delle Isole Marshall, Hilda Heine, ricevendo notizie poco incoraggianti; lo stato insulare non ha le risorse per occuparsi del problema, con il rischio concreto di contaminazioni da materiale radioattivo nelle acque intorno all’atollo Enewetak.
Le Isole Marshall divennero famose nella seconda metà degli anni Quaranta del Novecento, quando gli Stati Uniti avviarono i loro test per sperimentare ordigni nucleari, sganciando bombe su alcuni degli atolli su cui avevano all’epoca il controllo. “Castle Bravo”, il test più famoso e con la bomba più potente, fu realizzato sull’atollo di Bikini il primo marzo del 1954.
La reazione atomica causò la formazione di un grande bagliore rosso, seguito pochi istanti dopo da una nube a fungo che raggiunse i 7 chilometri di altezza. L’esplosione fu mille volte più potente di quella che aveva distrutto buona parte della città giapponese di Hiroshima, alla fine della Seconda guerra mondiale.
L’esperimento di Bikini sarebbe diventato famoso e molto discusso, anche per alcuni gravi errori di valutazione da parte dell’esercito statunitense e dei suoi scienziati. L’esplosione interessò un’area due volte e mezza più grande rispetto a quanto calcolato. Ceneri e polveri radioattive si dispersero in un’area di 18 chilometri quadrati, ricoprendo altre isole non evacuate e sulle quali vivevano centinaia di persone.
Come avrebbero poi raccontato alcuni testimoni, sembrava quasi che si fosse messo a nevicare. Gli abitanti non sapevano che quegli strani fiocchi dal cielo fossero prodotti da un’esplosione atomica: c’era chi si mise a giocarci e chi li assaggiò, come si fa coi veri fiocchi di neve.
Nella seconda metà degli anni Settanta gli Stati Uniti avviarono programmi di bonifica delle Isole Marshall sottoposte ai test atomici. Sull’atollo di Enewetak lavorarono circa 4mila membri dell’esercito per rimuovere oltre 73mila metri cubi di suolo contaminato dagli isolotti.
Il materiale fu depositato in un cratere largo un centinaio di metri, formato in seguito a un test atomico nel 1958. L’operazione di bonifica richiese tre anni di lavoro; intorno a quella che fu definita dagli abitanti locali “la tomba”.
Nel 1980 si decise di coprire il cratere con una grande cupola di cemento spessa poco meno di mezzo metro. Era una soluzione temporanea in attesa di trovare un luogo più adeguato. Pochi anni dopo gli Stati Uniti autorizzarono le Isole Marshall a governarsi da sole.
Le ispezioni condotte negli ultimi anni hanno evidenziato la formazione di crepe nella struttura di cemento, con il rischio che il materiale radioattivo contenuto al suo interno possa disperdersi, causando nuovi danni ambientali. Tra gli isotopi presenti c’è il plutonio-239, che ha lunghissimi tempi di decadimento ed è ancora radioattivo.
Un’ulteriore complicazione è quella che il cratere non è ancora rivestito e isolato, prima di depositarvi il materiale radioattivo. Il fondo per esempio è permeabile e quindi raggiunto dall’acqua durante i picchi di marea. È probabile che le acque intorno all’isolotto siano già contaminate, anche se si ritiene che attualmente i livelli di radiazioni continuino a essere bassi ed entro i limiti di sicurezza.
Il governo delle Isole Marshall dice di non avere le risorse per isolare meglio la cupola. Le preoccupazioni sono legate soprattutto al progressivo aumento del livello dei mari e agli effetti degli eventi climatici sempre più intensi, a cominciare dai tifoni.
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