In un recente giorno lavorativo, il New York Times ha venduto un annuncio pubblicitario ad una certa società. L’annuncio era destinato allo slot più esclusivo che il Times offre, un grande annuncio interattivo posizionato lungo la parte superiore della home page, quindi la cifra pagata era probabilmente significativa. Lo scorso mercoledì, un lettore del Times interessato – in questo caso, l’ex giornalista del Times Aron Pilhofer – ha visitato la home page del periodico. L’antica equazione dei media che contano sugli annunci pubblicitari è Inserzionista + Editore + Pubblico; nel caso del Times, sembrava che tutti questi elementi fossero presenti.
Ma arriva la sorpresa: Google blocca certi annunci pubblicitari
Ma Google ha deciso che quell’annuncio non era idoneo, bloccandone la visualizzazione. La giustificazione ufficiale che il colosso dei motori di ricerca fornisce, coerentemente con i propri standard, risiede nell’eccessivo consumo di risorse da parte dell’annuncio in termini di banda. Questa non è una novità: già nello scorso mese di maggio, Google aveva comunicato il blocco degli annunci pesanti su Chrome. Questa funzione è poi arrivata a fine agosto con Chrome 84.
D’altra parte, si tratta di una decisione comprensibile: nessuno desidera continue interruzioni nel funzionamento del browser a causa di pubblicità troppo invasive e avide di risorse, che danneggiano irrimediabilmente l’esperienza dell’utente. Naturalmente può sembrare strano che un’azienda come Google decida, unilateralmente, che un annuncio venduto dal New York Times non possa essere visibile a un lettore dello stesso periodico, ed è altamente improbabile che un giornale della reputazione del Times venda i propri spazi pubblicitari a siti equivoci.
Ma è anche probabile che il Times non sappia il motivo per cui Google abbia bloccato questo particolare annuncio. Se un annuncio sia o meno troppo “pesante” è una decisione presa tramite un algoritmo da una singola installazione di Chrome, e dipende dall’attività che quel singolo browser sta svolgendo in quel momento e dalla porzione di memoria che sta consumando. In altre parole, lo stesso annuncio potrebbe andare bene in una nuova installazione di Chrome su un MacBook Pro nuovo di zecca, ma non su un vecchio Lenovo quando si hanno 40 schede di Chrome aperte e due dozzine di estensioni installate.
Pertanto. l’annuncio per la cui visualizzazione qualcuno ha pagato sarà conteggiato erroneamente come un’impressione pubblicitaria o verrà considerato un’impressione pubblicitaria venduta ma non visualizzata. Probabilmente per il Times non sarà un grande problema, ma è un fenomeno che ancora lascia perplessi.
Ph. credits: Aron Pilhofer