Si trova ad Avezzano, in provincia de L’Aquila, il Museo dell’Intrattenimento Elettronico più grande d’Italia. Inaugurato lo scorso 26 giugno, questa perla della tecnologia passata e moderna si trova proprio all’ombra del monte Velino: una cartolina paesaggistica per chi vuole trascorrere un weekend di tranquillità assaporando la nostalgia di cimeli tecnologici che ci hanno visti ragazzi.
Si tratta di una istituzione creata e gestita dall’associazione ElettroLudica, che risponde al nome di tre soci fondatori Fabio Rubeo, Erik Pede e Alessandro Di Berardino. L’idea nasce con un preciso intento, ovvero quello di diffondere la cultura del videogioco come opera dell’ingegno umano, dal quale si sviluppa una serie di oggetti che ci raccontano le ere geologiche della più accesa tecnologia.
Entrare nel Museo dell’Intrattenimento Elettronico è come entrare nella capsula del tempo. E, di certo, non si può fare a meno di provare una morsa di nostalgia ritrovando oggetti che avevamo accantonato nel cassetto per altri di ultimissima generazione. E, al pari, non ci si può togliere dalla mente quel velo di consapevolezza nel considerare – constatandolo con mano – di come la tecnologia fosse estremamente più “limitata” solo una manciata di anni fa, eppure così all’avanguardia per noi e per come eravamo. O di come i giochi non avessero l’apparato visivo che hanno oggi, più sofisticati, più dettagliati e attenti persino alla permanenza dei nostri occhi davanti ad uno schermo o ad un display. Eppure, questi stessi giochi ed altri device che rispolveriamo dai nostri ricordi, così come dalle teche in cui sono esposti, hanno incantato milioni di persone nel mondo. E continuano ancora oggi a farlo, per i patiti ma anche per i non addetti ai lavori, o ai giochi.
Il Museo creato da ElettroLudica, dunque, non è solo la celebrazione della tecnologia, quanto un passaggio temporale verso le nostre gioventù, un ritorno alle generazioni passate che hanno visto crescere non solo l’uomo, ma evolvere la tecnologie in base alla alle esigenze che lui le dettava. Una plasmarsi vicendevole che, oggi, continua con modalità diverse.
Noi tutti ricordiamo le vecchie console o i flipper luccicanti e rumorosi delle sale giochi. Quelle stesse che rappresentavano il vero fulcro del momento di aggregazione dei giovani e non solo, dove ci si incontrava per sfidarsi, mentre ci si raccontava. Ecco, nelle diverse sale di questo museo è un po’ come risentire quei racconti, quei suoni quasi fastidiosi quanto monotoni eppure così festosi. Quegli stessi luoghi che oggi non ci sono quasi più e che si sono trasformati in console di gioco casalinghe, che ci vedono giocatori in solitaria con una moltitudine di sfidanti online che, probabilmente, mai incontreremo e di cui nulla sapremo.
Il passato, il presente e non solo
L’allestimento del Museo dell’Intrattenimento Elettronico è perennemente in progress come il tema di cui si occupa: la tecnologia. Le diverse sale, al momento, ospitano circa 700 pezzi, ma è un numero destinato a crescere. Si ritrovano in questo spazio parallelo tecnologico flipper dalle diverse fogge e colori (proprio quelli di cui raccontavamo prima, che trovavamo nei bar come nei film dei primi anni ’80) ai computer che oggi definiremmo “preistorici” e che pure ci hanno permesso di muovere i primi passi in diversi settori, agevolandoci nei più disparati lavori. E poi le console, proprio quelle stesse che diventarono negli anni ’80 e ’90 il regalo più ambito da fare Natale o in occasioni importanti.
Ma esattamente da dove vengono questi pezzi di antiquariato tecnologico? “Si tratta di persone che vivono ai quattro angoli del pianeta, dal Canada al Regno Unito, dal Sud America agli Stati Uniti, in Europa e nella nostra penisola“, risponde Fabio Rubeo sulle pagine de L’Espresso. “Una rete di contatti di cui siamo orgogliosi di far parte“. E aggiunge: “Certi cabinati originali valgono migliaia di euro: sovente sono contraddistinti da fogge molto particolari, o da sistemi di controllo più sofisticati della classica combinazione di joystick e tasti“.
Tutto fa parte di una fitta reti di collezionisti e affezionati dell’oggetto come ricordo, dei quali i fondatori del museo ritraggono un profilo ideale: in genere è di sesso maschile e l’età è quella che va dai 40 in su e, quasi certamente, è un genitore il cui obiettivo è tramandare le sue stesse passioni.
Ma in questo viaggio temporale che trova la sua porta di ingresso ad Avezzano e dal quale si entra come sulla macchina di Ritorno al futuro, c’è posto per tutte le generazioni. Dai più grandi con una grande voglia di tornare alla propria infanzia e prima gioventù, ai più giovani di oggi che, paghi del loro smartphone più innovativo che hanno in tasca, cercano di capirne l’origine. Probabilmente con un sorriso di incredulità, proprio lo stesso di quando, affettuosamente, si prendono gioco dei loro “vecchi”, o meglio boomer.
E non c’è differenza di genere. Uomini e donne tornano bambini. Perchè tutti, chi prima chi dopo, ha avuto a che fare con un floppy disc, con una cassetta il cui nastro era da arrotolare con una necessaria penna BIC, con joystick dai colori e dalle forme più bizzarre, agli improbabili schermi di PC il cui peso era pari al quintale.
Per non dimenticare poi i giochi che, nella loro ingenuità, ci hanno tenuto compagnia, iniziando a spianare la strada alle prime forme di dipendenza senza regole che oggi, però, ci è sfuggita di mano. Chi, infatti, almeno una volta, non ha fatto almeno una partita a Tetris o Pac-Mac o Snake? Non importa se su indistruttibili Nokia o su PC mastodontici: l’importante è averci perso i pomeriggi prima dei compiti e sfidato i propri – reali – compagni di giochi.