Il plancton negli oceani potrebbe aumentare entro i prossimi 100 anni

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Un innovativo simulatore ha contribuito ad una scoperta sorprendente da parte degli scienziati della University of California Irvine: le popolazioni di fitoplancton cresceranno esponenzialmente entro la fine del ventunesimo secolo. L’inaspettato risultato della simulazione è in contrasto con la convinzione di molti membri della comunità scientifica, secondo cui i futuri cambiamenti climatici renderanno gli oceani inospitali per il plancton, che è alla base della rete alimentare acquatica.

plancton

L’autore dello studio Adam Martiny, professore di oceanografia presso la UCI, ha spiegato che le teorie più diffuse sulla cosiddetta “biomassa fitoplanctonica” si basano su un oceano sempre più “stratificato“. I mari più caldi in superficie non si miscelano con gli strati freddi più profondi; ciò causa una minore circolazione delle acque e perciò un numero sempre minore di nutrienti raggiunge gli strati più alti, dove è possibile accedere al plancton.

 

Il mutamento nella popolazione di plancton nelle acque oceaniche potrebbe essere collegato al riscaldamento delle acque terrestri

Tutti i modelli climatici utilizzati ci hanno restituito questo risultato. La produttività del fitoplancton e la sua biomassa diminuiranno drasticamente con i cambiamenti climatici“, ha affermato Martiny. “I modelli si basano in gran parte su studi di laboratorio condotti sul fitoplancton, ma ovviamente il laboratorio è un ambiente completamente differente dal vero oceano“. Secondo Martiny, gli scienziati tradizionalmente determinano la presenza di plancton misurando la quantità di clorofilla nell’acqua; oggi, c’è molto meno clorofilla nelle acque, che diventano sempre più calde.

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Il problema è che la clorofilla non è tutto ciò che possiamo trovare in una cellula. In realtà, a basse latitudini, il plancton presenta quantità molto basse di essa; c’è così tanta luce solare che il plancton ha bisogno di poche molecole di clorofilla per nutrirsi“, continua Martiny. “Finora abbiamo pochissimi dati per dimostrare effettivamente se ci sia più o meno biomassa nelle regioni in fase di stratificazione e di conseguenza, la base empirica a sostegno della nostra teoria non è ancora così forte“.

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