Spazio: scoperti una nuova tipologia di pianeti ricchi di gemme preziose

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Da qualche parte nascosto nel sottosuolo della Terra, o nelle profondità di qualche montagna, sono nascoste un gran numero di pietre preziose. Zaffiri, smeraldi, rubini e quant’altro aspettano solo di essere trovati e probabilmente mai in quanto sono comunque rare. Queste pietre hanno una valore intrinseco dato da noi per via della loro, appunto, rarità oltre che dai colori. Nello spazio esistono certi pianeti dove piovono addirittura dal cielo, ma recentemente ne sono state scoperte degli altri.

Degli astronomi hanno trovato una nuova classe di pianeti nei quali abbandono tali pietre, apparentemente, il che rendono la superficie più brillante, o riflettente se preferite. Questa particolarità è dovuta alla vicinanza degli oggetti cosmici alla propria stella, ma la densità degli stessi è simile a quella della Terra e di Marte solo con una più alta percentuale di roccia, metallo e ovviamente una combinazione di questi due.

 

Pianeti ricchi

La poc’anzi citata posizione vicina ad una stella rende quindi possibile la presenza delle pietre preziose a causa del corindone minerale ovvero una forma cristallina di ossido di alluminio. I pianeti in questione sono stati chiamati HD 2199134 b, 55 Cancri E e WASP-47 la cui distanza da noi è rispettivamente di 21 anni luce, 14 anni luce e 970 anni luce; le orbite sono particolarmente corte dovute proprio alla vicinanza e sono sempre rispettivamente di 3 giorni, 18 ore e ancora 18 ore.

I pianeti che si formano così vicino alle stelle sono caratterizzati da un composizione particolare dovuta al disco protoplanetario. La fase iniziale di formazione parte con la polvere e gas e man mano che si forma un globo di modeste dimensioni allora vengono attirati frammenti più grossi finché non diventa effettivamente un pianeta.

Questa caratteristica rende impossibile la presenza di un nucleo simile a quello della Terra e quindi potrebbe escludere anche la presenza di un campo magnetico proprio. Quello scoperto dai ricercatori dell’Università di Zurigo è quindi qualcosa di nuovo e che potrebbe quasi sicuramente portare a nuovi risvolti interessanti.

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