E chi lo avrebbe mai detto? A quanto pare il rapporto tra Silicon Valley e la nuova presidenza americana di Donald Trump sembrerebbe essersi riallineato.

Il tycoon sin dagli albori della lunga campagna elettorale si era mostrato come il nemico numero uno delle tech companies californiane: aveva attaccato il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, sulla questione immigrazione (“Facebook assume stranieri e ignora lavoratori Usa”), era andato contro il colosso Apple e contro Tim Cook poichè ha esportato la linea di produzione in altri paesi (“Porterò Apple a costruire i suoi computer nel nostro territorio e non in Cina. Come ci aiuta se lo fanno in Cina?”) e ne tantomeno si era risparmiato nei confronti di Amazon e del relativo amministratore delegato Jeff Bezos, nonchè proprietario del quotidiano statunitense “The Washington Post”.

Ben si sa che la Silicon Valley si è mostrata sempre compatta nel sostenere la democratica Hillary Clinton ma qualcosa ieri pomeriggio è cambiato.
I vari big e top manager di società come Alphabet, Apple, Facebook, Microsoft, Intel, Oracle e Amazon hanno accettato l’invito per un incontro promosso dal presidente eletto direttamente nella tana del lupo: la Trump Tower.

Silicon Valley alla Trump Tower
Trump incontra i big della Silicon Valley

L’incontro sembra esser andato per il meglio, anzì, i vari dissidi a quanto pare sono stati dimenticati.
Le parole del neopresidente sono state accolte positivamente tra i fondatori dell’industria del futuro: “Sono qui per aiutarvi. Siete gente straordinaria, fate cose incredibili per l’innovazione. Non c’è nessuno al mondo come voi”.

Quello che doveva essere il presidente nemico ha spiazzato tutti con la nomina di due dei CEO più influenti del mondo tech come consiglieri dello “Strategic and Policy Forum”. L’imprevedibile Trump ha infatti deciso di farsi affiancare da due pionieri del paradiso tecnologico californiano: Travis Kalanick ed Elon Musk.
Kalanick fondatore e amministratore di UBER (azienda con sede a San Francisco che con la sua app ha rivoluzionato il trasporto automobilistico) l’altro è invece il miliardario Musk, CEO di Tesla Motors (azienda leader nella fabbricazione di auto elettriche).

Tutto ciò, fino a qualche settimana fa, non era neanche lontanamente immaginabile. Basti pensare che secondo alcune stime i contributi economici a supporto della campagna elettorale della democratica Clinton derivanti dalla Valle del Silicio sfioravano gli 8 milioni di dollari mentre a supporto di “The Donald” erano pari a circa due milioni.
Del tutto fuorvianti potevano essere le parole di Elon Musk in un’intervista alla Cnbc: “Non è la persona giusta per diventare presidente degli Stati Uniti”.
Per adesso è tornato il sereno. Ma d’altronde si sa, gli occhi degli Americani puntano sempre più in là, cercando di cogliere e coltivare le opportunità e sopratutto i cambiamenti.

Non tutto però poteva andare per il meglio, bisogna anche far menzione dei grandi assenti all’incontro.
Il primo è proprio Mark Zuckerberg, che ha provveduto a farsi rappresentare dalla “numero 2” Sheryl Sandberg.
Il secondo è Jack Dorsey, il fondatore di Twitter (il social media preferito da Trump). Infatti, alcune indiscrezioni dei giornali americani riportano che “Twitter non è stata invitata al summit”.
Probabilmente un piccolo dispetto, dovuto al fatto che Dorsey a suo tempo si oppose alla richiesta del marketing manager di Trump di sostituire l’hashtag #CrookedHillary (Hillary corrotta) con delle “emoji”: faccine in fuga con borse piene di denaro e altri simili messaggi anti-Clinton.
Ma secondo lo staff, Twitter non sarebbe stata invitata a partecipare poichè è una società piccola. Con una capitalizzazione di mercato di 13,85 miliardi di dollari, è infatti più modesta di Facebook e Amazon.

Bisogna dire che Mr. Trump, ieri pomeriggio, ben si è guardato dal discutere riguardo a temi bollenti come produzione estera, assunzioni e concorrenza internazionale. Ha preferito far riferimento a temi meno specifici come quello delle tasse e istruzione.
Il presidente si è comunque impegnato nel cercare di riuscire a facilitare gli scambi commerciali internazionali e a garantire una riduzione dell’imposta sugli utili dell’impresa dal 35 al 15 per cento per favorire il rimpatrio dei profitti congelati dalle multinazionali nelle loro filiali estere. Un vero e proprio “maxi-condono”. Ha, inoltre, precisato, come già aveva fatto, la sua lotta alla burocrazia per liberare le imprese dell’innovazione dalle rigide regolamentazioni che stanno rendendo i processi creativi impossibili.

Nel team che affiancherà il neo presidente USA sulle decisioni circa le politiche economiche e del lavoro oltre a Musk e Kalanick ci saranno numerosi dirigenti di società simbolo dell’America (da General Motors a Pepsi). “I manager di questo Forum sono al top nei loro rispettivi campi – ha detto Trump – e la mia amministrazione lavorerà con il settore privato per migliorare l’economia e renderla appetibile per le aziende che intendono creare posti di lavoro negli Stati Uniti, dalla Silicon Valley al cuore del Paese”

Trump, da buon imprenditore di esperienza, ha proposto di ripetere riunioni, come quella di ieri, ogni tre mesi per avere una maggiore operatività e per stringere i rapporti con i padroni della Rete.

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