Da batteri preistorici sui denti di un Neanderthal nuovi antibiotici

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La placca dentale fossilizzata sui denti di Neanderthal sta rivelando batteri preistorici estinti che potrebbero portare allo sviluppo di nuovi antibiotici. Questo è ciò che emerge da uno studio pubblicato il 4 maggio sulla rivista Science, in cui la placca dentale di esseri umani antichi e moderni è stata analizzata per studiare l’evoluzione dei microbi della bocca.

 

Il microbioma dentale: fossili mentre siamo in vita

Ogni persona ha infatti il proprio microbioma orale, con centinaia di specie diverse di microrganismi, è infatti ampio e diversificato e varia in base all’ambiente in cui vive una persona. Per approfondire le conoscenze sull’antico microbioma orale umano, l’archeologa biomolecolare Christina Warinner, dell’Università di Harvard, ha inventato alcune nuove tecniche per analizzare la placca dentale umana preistorica presente nel tartaro rinvenuto su denti fossilizzati.

Come spiega infatti Warinner, la placca dentale “è l’unica parte del tuo corpo che si fossilizza regolarmente mentre sei ancora vivo. In esso vi è anche la più alta concentrazione di DNA antico di qualsiasi parte di uno scheletro. In soli pochi milligrammi di placca, possono essere isolati miliardi di brevi frammenti di DNA da centinaia di specie tutte mescolate insieme.

Da questi frammenti potremmo quindi identificare le specie conosciute di batteri presenti nella bocca dei nostri estinti antenati. Ma li riconosceremmo davvero tutti? È infatti possibile, e abbastanza probabile, che il DNA trovato nella placca dentale degli esseri umani del passato possa provenire da microbi che si sono ormai estinti.

 

Dai denti di ominidi estinti, antichi batteri preistorici

Nella loro ricerca, Warinner e i suoi colleghi, hanno analizzato il tartaro trovato sui denti di 12 uomini di Neanderthal vissuti da 102,000 a 40,000 anni fa; 34 umani vissuti da 30,000 fino a 150 anni fa; e 18 esseri umani contemporanei. Nel corso dello studio hanno sequenziato oltre 10 miliardi di frammenti di DNA e li hanno riassemblati in 459 genomi batterici, circa il 75% dei quali corrispondono a batteri orali conosciuti.

I ricercatori si sono dunque successivamente concentrati su due specie di un genere di batteri chiamato Chlorobium, trovato in sette individui dell’era del Pleistocene superiore (da 126.000 a 11.700 anni fa). Le specie di questo batterio trovate sui loro denti, non corrispondono infatti a nessuna specie conosciuta, ma sono simili a C. limicola, un batterio presente in fonti d’acqua associate ad ambienti rupestri.

Queste specie di Chlorobium erano quasi del tutto assenti dal tartaro nelle persone vissute negli ultimi 10.000 anni. Tra il Pleistocene superiore e l’Olocene (da 11.700 anni fa ad oggi), nell’arco di circa 100.000 anni, gli esseri umani hanno vissuto in caverne, addomesticato animali e inventato la plastica nel 21° secolo. Ognuna di queste diverse fasi della storia umana, ha portato con se le sue peculiari colonie batteriche. I cambiamenti nella frequenza del clorobio sembrano dunque andare di pari passo con i cambiamenti nello stile di vita dei nostri antenati.

 

Nuovi farmaci da antichi batteri preistorici

Warinner spiega invece che al giorno d’oggi, i microbiomi nella bocca sono drasticamente diversi. “Con l’uso intensivo dello spazzolino da denti, i batteri orali sono ora mantenuti a livelli bassi. Diamo per scontato che abbiamo radicalmente modificato il tipo di vita con cui interagiamo”.

Il team ha anche analizzato i cosiddetti cluster di geni biosintetici (BGC), o cluster di geni necessari per creare un composto specifico, per determinare quali enzimi erano in grado di produrre queste specie estinte di batteri preistorici. Isolando e comprendendo tali BGC, gli scienziati potrebbero infatti essere in grado di sviluppare nuovi farmaci.

Quando sono stati inseriti in batteri viventi per essere espressi, i BGC dei batteri preistorici del genere Chlorobium estinti, hanno prodotto due nuovi enzimi che potrebbero aver avuto un ruolo nella fotosintesi. Secondo Warinner queste nuove tecniche potrebbero un giorno portare a nuovi antibiotici. “I batteri sono la fonte praticamente di tutti i nostri antibiotici: negli ultimi due anni non abbiamo scoperto nuove classi principali di antibiotici e stiamo ancora finendo. Questi metodi ci danno la possibilità di cercare potenziali BGC produttori di antibiotici, nel passato”.

Foto di sindhu digital da Pixabay

Valeria Magliani
Valeria Magliani
Instancabile giramondo, appassionata di viaggi, di scoperte e di scienza, ho iniziato l'attività di web-writer perché desideravo essere parte di quel meccanismo che diffonde curiosità e conoscenza. Dobbiamo conoscere, sapere, scoprire e viaggiare, il più possibile. Avremo così una vita migliore, in un mondo migliore.

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