Un futuro in cui le macchine saranno intelligenti come gli uomini è qualcosa che l’umanità ha sognato e immaginato per decenni. Scienziati come Ada Lovelace o Alan Turing, pionieri della moderna informatica, hanno fantasticato qualcosa di simile. Ma quali sono le implicazioni reali del “creare” l’intelligenza?
Gli sforzi e la visione di Turing e Lovelace sono stati la chiave dell’invenzione, nel corso del ventesimo secolo, dei primi computer. A loro si sono uniti altri come Gordon Moore, Robert Noyce, John von Neumann, Tim Berners Lee e molti altri.
Prima di procedere, è interessante definire esattamente ciò che intendiamo per intelligenza artificiale. Al suo livello di base, la realtà è che l’intelligenza artificiale non è qualcosa di essenzialmente nuovo. Uno dei migliori esempi è quello che migliaia di persone portano con sé ai polsi e nelle tasche, ovvero Siri, Cortana o Google Now. Una intelligenza artificiale, Deep Blue, è stata anche quella che nel 1996 ha sconfitto per la prima volta un essere umano, Gary Kasparov, in una partita a scacchi.
Ma sia Siri che simili o Deep Blue, anche se sono in grado di superare e migliorare l’intelligenza umana in aree molto specifiche, non sono globali. Né “pensano” nel vero senso della parola, né riescono a generare pensieri o idee se non sono stati programmati per farlo. E né hanno una coscienza: semplicemente non svolgono compiti migliori di noi.
In altre parole: durante il ventesimo secolo, il grado di specializzazione e complessità nelle varie discipline tecnico-scientifiche è cresciuto in modo così rapido che ha causato un graduale passaggio da un modello con “grandi inventori” (Edison e la lampadina, Gutenberg e la stampa) ad un altro in cui le grandi invenzioni, in realtà, derivano da uno sforzo collaborativo. Internet e smartphone sono buoni esempi: non c’è un inventore chiaro e definito, anche se ci sono figure chiave che, a loro volta, sono alimentate da avanzamenti e miglioramenti.
Lo stesso vale per la comunità scientifica e medica: molti progressi vengono realizzati o basati su scoperte precedenti. E’ logico, dopotutto: più la specializzazione aumenta, più è difficile per gli esseri umani essere esperti a livello globale. Nasce così il concetto di “superintelligence”. Una super-intelligenza è spesso anche definita come “probabilmente l’ultima cosa che l’essere umano deve inventare”.
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