A volte basta uno sguardo a un’immagine per “sbloccare” un ricordo che credevamo perso nel tempo: il profumo di un’aula scolastica, una voce lontana, una sensazione di felicità semplice e pura. Recenti esperimenti di neuroscienze cognitive hanno mostrato che illusioni visive e figure ambigue possono innescare un effetto di “riconoscimento interiore”, riattivando nel cervello tracce della nostra infanzia. È come se, per un istante, la mente riconoscesse il bambino che siamo stati, aprendo una porta tra passato e presente.
Quando l’occhio inganna… e il cervello ricorda
Le illusioni visive sfruttano il modo in cui il cervello interpreta ciò che vede, combinando percezione e memoria. Quando un’immagine richiama inconsciamente forme o colori familiari, le aree cerebrali legate all’elaborazione emotiva — come l’amigdala e l’ippocampo — si attivano in modo inaspettato. Alcune illusioni, in particolare quelle che ritraggono volti o figure umane stilizzate, sembrano risvegliare emozioni legate ai primi ricordi di attaccamento e sicurezza.
L’effetto “déjà vu emotivo”
Non si tratta solo di riconoscere visivamente qualcosa, ma di sentirlo. Gli psicologi chiamano questo fenomeno “déjà vu emotivo”: una risposta affettiva immediata che riporta la mente a uno stato del passato. A differenza del classico déjà vu — in cui una situazione nuova sembra già vissuta — qui è l’emozione stessa a riemergere, come una traccia lasciata da un’esperienza infantile dimenticata.
La memoria implicita dell’infanzia
Molti dei nostri ricordi più antichi non sono narrativi, ma sensoriali. Non ricordiamo un evento come una storia, ma come un insieme di sensazioni: una luce, un colore, un suono. Le illusioni visive possono attivare proprio questa memoria implicita, che resta impressa nel cervello limbico e continua a influenzare il nostro modo di percepire il mondo. È per questo che un’immagine apparentemente astratta può evocare una nostalgia improvvisa o una tenerezza inspiegabile.
Cosa dice la scienza del cervello
Uno studio dell’Università di Cambridge ha mostrato che, osservando immagini ambigue, i partecipanti attivavano le stesse aree cerebrali coinvolte nella rievocazione autobiografica. Questo suggerisce che la percezione visiva non è mai neutra: ogni immagine passa attraverso il filtro delle esperienze vissute. In altre parole, il nostro cervello “vede” non solo ciò che abbiamo davanti, ma anche chi siamo stati quando abbiamo imparato a vedere.
Quando l’arte diventa una macchina del tempo
Molti artisti contemporanei sfruttano volutamente questo meccanismo. Le opere che giocano con prospettive, colori infantili o figure doppie mirano a risvegliare nello spettatore quella parte emotiva sepolta sotto anni di razionalità. L’illusione visiva diventa così un ponte tra la memoria e l’identità, capace di farci sentire di nuovo curiosi, vulnerabili e autentici — proprio come quando eravamo bambini.
Il valore terapeutico dei ricordi “sbloccati”
Nella psicologia clinica, questo tipo di esperienza può avere un valore terapeutico. Riconnettersi con il proprio sé infantile aiuta a elaborare emozioni rimaste sospese, a riscoprire parti di sé dimenticate e a comprendere meglio le proprie reazioni nel presente. Alcune terapie basate sull’immaginazione guidata o sulla visual art utilizzano proprio immagini simboliche per favorire questo processo di integrazione.
Guardare con occhi nuovi
Forse, la prossima volta che un’immagine ti “toccherà” senza motivo apparente, varrà la pena fermarsi un istante. Potrebbe non essere solo un effetto ottico, ma un messaggio dal passato. Il cervello, con la sua straordinaria capacità di intrecciare percezione e memoria, ci ricorda che dentro di noi vive ancora quel bambino curioso e pieno di stupore. E riconoscerlo può essere uno dei gesti più profondi di consapevolezza che possiamo compiere.
Foto di Willfried Wende da Pixabay

