Sacra Sindone: perché le simulazioni digitali non bastano a spiegarla

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Nel 2025 la proposta di Cícero Moraes, pubblicata su Archaeometry, ha riacceso il dibattito sulla Sacra Sindone di Torino, suggerendo che l’immagine impressa sul telo potrebbe essere stata creata tramite un bassorilievo ricostruito con un software 3D open source. L’ipotesi, ampiamente ripresa dai media, ha affascinato molti per la sua immediatezza visiva. Tuttavia, numerosi studiosi sottolineano che una simulazione digitale non può sostituire l’analisi empirica, né risolvere un mistero che da decenni sfida fisici, storici dell’arte, biologi e teologi.

Le critiche degli esperti

I ricercatori Presno, Miñarro e Peinado, della Sindone di Oviedo, stanno preparando una risposta accademica formale all’ipotesi di Moraes. Le loro osservazioni sono puntuali: Blender, il software utilizzato, è pensato per l’animazione e il rendering grafico, non per simulare accuratamente l’interazione fisica tra tessuti e corpi. Non considera parametri essenziali come la densità, l’elasticità o l’assorbenza del lino, né fattori forensi quali la presenza di sangue preesistente. La ricostruzione, spiegano, è quindi solo un supporto illustrativo, non una prova scientifica.

Già in passato l’ipotesi del bassorilievo era stata testata e scartata. Studi precedenti hanno dimostrato che non riesce a riprodurre caratteristiche fondamentali della Sindone, come la superficialità nanometrica dell’immagine, l’assenza di pigmenti e l’integrità delle macchie di sangue umano, documentate dal Shroud of Turin Research Project (STURP) nel 1978.

Un’anatomia troppo precisa per il Medioevo

Le analisi anatomiche sulla figura impressa sul telo hanno rivelato dettagli straordinari: l’inclinazione della testa, il rigor mortis, le gambe piegate e le mani incrociate seguono schemi fisiologici precisi, difficilmente compatibili con l’arte medievale. Sebbene il tardo gotico avesse raggiunto un buon livello di naturalismo, la frontalità, la nudità integrale e la simmetria della figura corrispondono più ai canoni rinascimentali o accademici che alle convenzioni artistiche del XIV secolo. Non esistono esempi scultorei di quell’epoca con un simile grado di accuratezza.

Il nodo della datazione e dei metodi scientifici

La famosa datazione al carbonio-14 del 1988, che collocava la Sindone tra il 1260 e il 1390, è stata messa in discussione in studi più recenti, come quello di Casabianca et al. (2019), per l’uso di un campione prelevato da una zona riparata del telo. Nuove tecniche, come il WAXS (Wide-Angle X-ray Scattering), suggeriscono invece una datazione compatibile con il I secolo d.C., riaprendo il dibattito sulla sua origine.

Queste discrepanze dimostrano quanto sia complesso affrontare il fenomeno: nessuna singola prova può fornire una risposta definitiva. Per questo, ridurre tutto a un esperimento digitale rischia di banalizzare decenni di ricerche multidisciplinari.

Contatto vs. ossidazione: un errore concettuale

Moraes ha anche paragonato la formazione dell’immagine sulla Sindone di Torino alle macchie della Sindone di Oviedo, un tessuto spagnolo tradizionalmente legato alla Passione di Cristo. Tuttavia, gli studiosi ricordano che l’immagine torinese non è il risultato di un contatto diretto, mentre le macchie della Sindone di Oviedo lo sono. Equiparare questi due fenomeni significa confondere processi distinti e trarre conclusioni potenzialmente fuorvianti.

Un invito al rigore e all’interdisciplinarità

Come sottolinea la sindonologa Emanuela Marinelli, qualsiasi ipotesi deve considerare simultaneamente tutti i dati empirici: dall’ossidazione superficiale della cellulosa alla presenza di sangue umano rilevata con tecniche immunologiche. Trascurare anche uno solo di questi aspetti significa offrire un quadro incompleto.

La questione centrale non è la capacità di riprodurre un contorno o un effetto visivo, ma la possibilità di formulare un modello teorico coerente che spieghi ogni dettaglio senza contraddizioni e sia verificabile da studi indipendenti. Le simulazioni digitali possono avere un ruolo didattico o divulgativo, ma non possiedono da sole la solidità scientifica necessaria per spiegare un oggetto tanto complesso.

Oltre i facili riduzionismi

La Sacra Sindone resta uno dei reperti più enigmatici al mondo. Il suo studio richiede metodo, interdisciplinarità e apertura al vaglio critico della comunità scientifica. Ridurla a un esperimento digitale significa trascurare la complessità di un fenomeno che coinvolge fisica, chimica, storia dell’arte e teologia.

Più che cercare soluzioni rapide o effetti visivi spettacolari, gli studiosi invitano a proseguire con rigore: solo un approccio scientifico completo e verificabile potrà, un giorno, chiarire almeno parte del mistero che avvolge la Sindone di Torino.

Foto di shahir shah su Unsplash

Federica Vitale
Federica Vitalehttps://federicavitale.com
Ho studiato Shakespeare all'Università e mi ritrovo a scrivere di tecnologia, smartphone, robot e accessori hi-tech da anni! La SEO? Per me è maschile, ma la rispetto ugualmente. Quando si suol dire "Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere" (Amleto, l'atto indovinatelo voi!)

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