Recensione Lords of the Fallen – un soulslike impressionante e stimolante

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Lords of the Fallen torna a far capolino nel mercato videoludico dopo 9 anni dal primo capitolo, un soulslike capace di catturare l’interesse e l’attenzione di una buona community, senza però riuscire a fornire i risultati  desiderati a causa di una legnosità superiore al normale. Per questo motivo Hexworks ha deciso di proporre oggi un altro soulslike completamente nuovo ed inedito, ma con esattamente lo stesso nome. Saranno riusciti a sfornare un ottimo titolo? scopriamolo assieme nella recensione completa.

 

Trama

Il nuovo gioco vuole essere un seguito relativamente diretto della prima esperienza, anche se ha inizio tantissimi anni dopo l’avventura di Harkyn, che ha visto sconfiggere il dio malvagio. Non lasciatevi ingannare, non è necessario aver giocato il titolo del 2014, infatti nell’introduzione viene riportato un brevissimo riepilogo dei fatti avvenuti in precedenza. L’ambientazione è la solita Mournstead, una terra costantemente minacciata da Adyr, il dio sconfitto proprio da Harkyn, pronto a tornare alla ribalta con la corruzione dei pilastri di luce che gli eroi avevano sigillato per rinchiuderlo per l’eternità. Su Mournstead si stanno riversando ondate di malignità, con Rhogar sempre più violenti e brutali.

E’ qui che entra in gioco il nostro personaggio, il portatore di una misteriosa lanterna, un artefatto che gli permette di oscillare tra i due mondi (vivi e morti), un qualcosa di blasfemo che si scontra pesantemente con il credo delle sentinelle di Orius, il dio della luce, ma che sembra essere l’unica strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo finale. Una lore classica, che non va ad intaccare argomenti nuovi ed inediti, che allo stesso tempo riprende a piene mani dall’esperienza di FromSoftware, infatti la storia non verrà in nessun modo narrata, spetterà al giocatore ricostruire il puzzle con gli echi che si possono scovare nelle varie aree della mappa, oppure leggendo le solite descrizioni di armi ed oggetti. Una scelta che potrebbe rivelarsi vincente, senza però essere intuitiva per chi non ama un approccio stilistico di questo tipo.

 

Grafica

Per la prima volta Lords of the Fallen è un titolo interamente realizzato con Unreal Engine 5, il motore grafico di nuova generazione che promette prestazioni next-gen, e dobbiamo ammettere essere stato in grado di proporre scene di intermezzo davvero suggestive, con colpi d’occhio interessanti ed un elevato dettaglio della maggior parte delle mappe. Le ambientazioni sono varie, grazie all’HDR le magie, i fuochi ed il cozzare del metallo sulla roccia  risplendono di luce propria, conferendo all’ambientazione ancora più autenticità ed unicità.

Dall’altro lato, nella nostra prova su PS5, nonostante nelle due settimane di test siano state rilasciate tre patch, il frame rate non è sempre stato stabile, sopratutto nell’hub principale del gioco. Allo stesso modo i nemici spesso sono rimasti incastrati nei passaggi, sono caduti in aree dalle quali non è più stato possibile uscire e simili, segno di una mancanza di pulizia generale, che comunque potrà essere risolta con successive patch. La freschezza dell’Unreal Engine 5 è palese, come anche l’inesperienza nel suo utilizzo, resta comunque un gioco di alta qualità dall’ottimo impatto.

 

Gameplay

Il ritmo di Lords of the Fallen è basso, privato di qualsiasi anima leggermente action, come poteva essere un Lies of P, in perfetto stile Dark Souls. Le armi sono estremamente varie, potenziabili e personalizzabili a piacimento, con armature di ogni genere; il touch&feel è molto buono, a tutti gli effetti conferiscono un diverso approccio al gioco e al combattimento, con l’aggiunta comunque di tantissimi oggetti da lancio (dalle semplici mani, passando per gli archi o le balestre), per finire con ben tre differenti tipologie di magie. Ciò che lo rende particolarmente speciale è la possibilità di equipaggiare tre oggetti da lancio o magie differenti per volta, assegnando loro un pulsante differente del joystick.

La gestione della vitalità ricorda in parte Lies of P, infatti ogni parata non permette di coprire completamente il giocatore, una parte di essa porterà ad una perdita di vita, mentre altra andrà in avvizzimento, ovvero potrà essere recuperata colpendo il nemico, a patto che questi non vi colpisca prima, facendola perdere del tutto. La schivata è l’arma migliore per i combattimenti, con la telecamera che segue molto bene l’azione, una finestra di invulnerabilità molto ampia, ed uno scivolamento che ricorda l’amatissimo Bloodborne; proprio per i suddetti motivi la parata è riservata solo ad una ristretta cerchia di espertissimi giocatori, considerando inoltre che i nemici più comuni hanno un bilanciamento tutt’altro che positivo (fanno troppi danni).

Il motivo può anche essere legato alla presenza dell’Umbral, infatti una volta terminata la vita l’utente non tornerà al checkpoint, ma verrà catapultato nella dimensione dei morti, che permetterà di riprendere da dove ci si era fermati, approfittando di mappe completamente ridisegnate, non morti che emergono dalle tenebre per ucciderci, scorciatoie inedite ed anche un timer che scandisce ogni secondo nell’Umbral, al termine del quale si morirà quasi definitivamente. Una scelta stilistica davvero apprezzata che porta una grande variabilità nell’esperienza, rinnovando i soulslike, ed allo stesso tempo proponendo un qualcosa di completamente nuovo.

Meno convincente è forse il bilanciamento dell’intera avventura, o meglio il posizionamento dei nemici all’interno delle stesse mappe. Non sono tanto i boss ad essere complessi, quanto la scelta di infarcire random le varie ambientazioni con nemici elite pronti a distruggervi in soli due colpi, attorniandogli con nemici capaci di sparare con estrema precisione anche da distanze siderali. Un bilanciamento tutt’altro che positivo che porta a minare l’esperienza finale, sopratutto per gli utenti con poca pazienza o inesperienza, giustificata più che altro dalla presenza dell’Umbral che è la classica seconda chance una volta morti.

Dall’altro lato abbiamo forse uno dei migliori level design di sempre, parlando di soulslike, un mondo completamente interconesso dove le varie ambientazioni risultano essere collegate tra loro con scelte stilistiche a dir poco uniche, grazie a scorciatoie, segreti e passaggi nascosti (oltre che mini boss), invisibili nel mondo dei vivi, ma affrontabili solamente nel mondo dei morti. Il passaggio in Umbral è possibile con la propria lanterna, non necessariamente bisogna perdere la propria vita, ma è più difficile tornare, perché sarà necessario piantare il seme, oppure trovare il checkpoint specifico (altrimenti bisogna correre). Sentiamo spesso la mancanza di checkpoin principali, sono davvero troppo rari, e per ovviare sono stati posizionate aree dove piantare semi che fungono da checkpoint rapido, spesso in prossimità del boss di turno (sembra davvero un’ode ai primi Dark Souls).

 

Lords of the Fallen – conclusioni

In conclusione Lords of The Fallen è un titolo che risplende sotto molteplici punti di vista, l’elemento che maggiormente ha catturato la nostra attenzione è l’esplorazione, vero e proprio fiore all’occhiello della produzione, capace di far perdere il giocatore nei meandri di mappe sempre più arzigogolate e uniche nel loro genere. Discorso simile per il comparto grafico, croce e delizia della produzione, sia per le incredibili scene di intermezzo, che proprio per alcune cadute nel frame rate o nel posizionamento dei nemici. Lords of The fallen, come avrete potuto capire, vive di una doppia anima di scelte non sempre azzeccate, ma che a conti fatti risulta essere perfettamente degno di essere giocato da tutti gli amanti dei soulslike, e non solo.

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