I ricercatori della Georgia Tech hanno creato, con dei potenti supercomputer, dei modelli che potrebbero aiutarci a trovare delle antiche stelle che potrebbero essere come dei fossili delle prime stelle nate nell’Universo poco dopo il Big Bang. Questa prima generazione potrebbe infatti aver lasciato le sue tracce nella seconda generazione di stelle.
Quando nell’universo c’era il buio
Cento milioni di anni dopo il Big Bang, nacquero le prime stelle, venute alla luce nell’oscurità primordiale dai gas primordiali di elio, idrogeno e metalli leggeri. Furono infatti proprio questi gas a raffreddarsi, collassare e trasformarsi in enormi stelle con una massa di 1000 volte maggiore a quella del Sole.
L’enorme massa di queste antiche stelle, le rese anche meno longeve. Si consumarono infatti più velocemente e dopo solo pochi milioni di anni (un attimo nella storia dell’Universo, lunga sino ad ora 13,8 miliardi di anni), esplosero in spettacolari supernove che crearono gli elementi più pesanti, gettando il seme per la successiva generazione di stelle.
Non possiamo più osservare queste stelle primordiali, ormai tutte scomparse, ma possiamo indirettamente avere notizie su di loro osservando la seconda generazione di stelle, conosciute come stelle povera di metalli arricchite di carbonio, Queste antiche stelle sono come fossili per gli astrofisici e la loro composizione riflette la nucleosintesi, o fusione, degli elementi più pesanti delle prime stelle.
I fossili delle prime stelle potrebbero ancora essere osservabili
Come ha spiegato Gen Chiaki, ricercatore post-dottorato presso il Center for Relativistic Astrophysics, della School of Physics della Georgia Tech, “possiamo ottenere dei risultati dalle misurazioni indirette, per ottenere la distribuzione di massa delle stelle prive di metallo (le prime stelle) dalle abbondanze elementali di stelle povere di metalli (la seconda generazione)”.
Chiaki, autore principale di questo studio, ha infatti elaborato per la prima volta dei modelli delle deboli supernove delle prime stelle prive di metallo mostrando gli elementi da essi nate e sparsi nello spazio. Inoltre il modello mostra il tipo di stelle che potrebbero essere nate da tali elementi, sparsi dalle supernove della prima generazione di stelle. Si tratterebbe di stelle di bassa massa povere di metalli che potenzialmente potrebbero essere fino ai giorni nostri e che dunque ancora osservabili.
Chiaki ha affermato “che queste stelle hanno un contenuto di ferro molto basso e le stelle di piccola massa si formano in un regime di scarsa abbondanza di ferro. Tali stelle non sono ancora mai state osservate. Questo studio ci fornisce una visione teorica della formazione delle prime stelle”
Ma riuscire a trovare queste stelle ed osservarle, sarebbe come poter osservare i resti fossili delle prime stelle nate nell’universo dopo il Big Bang. Come ha infatti affermato il coautore dello studio John Wise, professore associato del Center for Relativistic Astrophysics, “non possiamo vedere le primissime generazioni di stelle. Pertanto, è importante osservare questi fossili viventi dell’universo primordiale, perché hanno le impronte digitali delle prime stelle”.
Questi fossili delle prime stelle sono stati previsti da modelli realizzati con potenti supercomputer
I modelli delle stelle primordiali sono stati eseguiti in tre diverse simulazioni, ognuna corrispondente ad una diversa massa stellare. Le simulazioni hanno riprodotto la sequenza principale della stella e la sua morte in supernova. Dopo di che hanno riprodotto il collasso della nuvola di molecole creata dalla supernova che ha coinvolto una rete chimica di 100 reazioni e 50 specie, come il monossido di carbonio e l’acqua.
La maggior parte delle simulazioni, per la loro complessità, è stata eseguita su supercomputer molto veloci, potenti e con un ampio sistema di archiviazione. “Adatti per condurre le nostre enormi simulazioni numeriche”, come ha affermato lo stesso Chiaki.
Per il team ora il prossimo passo da compiere è quello di andare oltre le caratteristiche del carbonio delle stelle antiche ed estendere lo studio ad altri tipi di stelle e agli elementi generali, con simulazioni più ampie.
Secondo Chiaki infatti “lo scopo di questo studio è conoscere l’origine di elementi, come carbonio, ossigeno e calcio. Questi elementi si sono concentrati attraverso i cicli ripetitivi di materia tra il mezzo interstellare e le stelle. I nostri corpi ed il nostro pianeta sono fatti di carbonio e ossigeno, azoto e calcio. Il nostro studio è quindi molto importante per aiutare a capire l’origine di questi elementi di cui siamo fatti noi esseri umani“.
Ph. Credit: Chiaki, et al.