Durante la prima fase della pandemia di COVID-19, quando la chiusura era più serrata e quasi tutta la popolazione mondiale era chiusa in casa, il mondo degli uomini si è fermato per un momento e la natura e gli animali hanno riconquistato l’ambiente. Sempre più spesso venivano avvistati animali selvatici nelle zone residenziali ormai deserte e l’inquinamento è calato in quasi tutto il mondo.
Questa rinascita dell’ambiente e il risveglio della natura, offrivano una sorta di sollievo alle preoccupazioni della pandemia globale che ci gettava in un futuro incerto. Ma questa rinascita può significare che se la natura viene lasciata a se stessa, senza l’interferenza dell’uomo, può riprendersi e salvare se stessa?
Qual è realmente l’effetto del lockdown sull’ambiente?
Secondo gli esperti la risposta è molto complessa e va ben oltre un semplice si o no. L’antropausa, così è stato chiamato dai ricercatori il blocco improvviso delle attività umane, potrebbe avere molteplici conseguenze sull’ambiente e potrebbero volerci anni per individuarle e studiarle.
Secondo quanto affermato da Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, “con la terra ed i paesaggi marini già irrevocabilmente alterati, inquinati, rasi al suolo e coltivati, gli esseri umani devono capire come tutelare attivamente la salute dell’ambiente e viverci in modo sostenibile. Questa è la sfida che i leader mondiali devono affrontare al Vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità e alla conferenza globale sulla biodiversità COP15 del prossimo anno”. Le parole di Andersen significano in pratica che, per come abbiamo ridotto la Terra, sarà necessario più di qualche mese a casa per guarire il Pianeta.
Secondo gli esperti la pandemia ha riportato gli animali a visitare le zone urbane e la riduzione del turismo e dei viaggi in generale ha contribuito anche ad una diminuzione del commercio illegale di animali selvatici, ma questo non è tutto ciò che si è ottenuto dal lockdown.
La COVID-19 si è schierata con i bracconieri
Durante la chiusura forzata infatti, si è rivelato più difficile fermare i bracconieri. Il lockdown ha infatti ridotto, e in alcuni casi fermato, le attività di controllo dei ranger. Inoltre molte aree naturali e parchi dipendono dal turismo per il loro sostentamento e il calo dei visitatori ha dunque influito notevolmente sugli introiti, e di conseguenza sulla gestione ed il controllo, di parchi e riserve.
Un minor guadagno delle aree naturali è stato anche dovuto ad un calo delle donazioni alle ONG da parte di piccoli e grandi donatori, dovuto alla crisi dell’economia globale legata alla pandemia e al blocco delle attività per un così lungo periodo.
Il turismo è una fonte centrale di finanziamento per le riserve ed i parchi naturali di tutto il mondo. Inoltre la presenza di eco-turisti tiene a bada bracconieri e taglialegna e, in riserve ben gestite, il loro denaro finanzia ranger, gestione del parco e altri programmi per garantire la salute della fauna selvatica. Con l’interruzione dei viaggi quest’anno, anche quel finanziamento vitale è venuto meno.
Anche il calo del turismo ha avuto un forte impatto sull’ambiente, ma non come ce lo aspettavamo
Andersen ha dichiarato che “in molti paesi abbiamo assistito a un calo quasi del 100% del turismo. La lezione che possiamo trarre è che se vogliamo salvare le aree protette, dobbiamo ampliare i nostri flussi di entrate, estendendoli oltre il turismo. Prima della pandemia, potevamo fare affidamento sul turismo o sul lavoro nei siti archeologici per guadagnare denaro e acquistare cibo. Ma ora non abbiamo più niente”.
Un’ulteriore effetto negativo della pandemia sulla fauna selvatica è derivato dal fatto che le persone in tutte le aree rurali del mondo sono state costrette dalla pressione economica a cacciare di più per sopravvivere. Gli esperti dicono che la pandemia ha anche portato a più disboscamento, raccolta e pascolo illegali in terre protette.
La paura per quello che potrà riservare il futuro della ripresa
Inoltre i conservazionisti temono che la spinta globale a rilanciare economie rese vacillanti dalla pandemia di coronavirus, possa arrecare maggiori danni all’ambiente. Lo stimolo dei governi per creare posti di lavoro e crescita potrebbe essere diretto verso iniziative ecosostenibili, ma i primi segnali non sono del tutto incoraggianti. Secondo la CNN diversi governi stanno già riversando dei fondi di emergenza nell’industria inquinante dei combustibili fossili.
Secondo Andersen il riavvio dell’economia globale deve combinare il sostentamento economico della popolazione con il dirigere “le risorse verso azioni positive per la natura che ci garantiranno un futuro sicuro”. Soprattutto per le persone che vivono in contatto con la natura, l’aumento del bracconaggio fa pensare alla necessità di “economie della fauna selvatica” più resilienti e con una minore dipendenza dal turismo.
Inoltre Andersen sottolinea anche la necessità di guardare oltre le aree protette e concentrarsi anche sulle città e le zone rurali, dove i problemi ambientali sono consistenti. “Dobbiamo guardare alla biodiversità al di là delle aree protette, perché è qui che la perdita è più grave”. Per questo alla Convenzione sulla Biodiversità del prossimo anno a Kunming, in Cina, 196 paesi sperano di poter fissare nuovi obiettivi di biodiversità e che questi siano effettivamente raggiunti questa volta.
Un impegno per il futuro dell’ambiente, ma mancano i “Big”
Diversi paesi, tra cui Canada, Regno Unito e Unione Europea hanno promesso questa settimana di espandere le loro aree naturali protette e più di 70 paesi hanno firmato un impegno in 10 punti per dare la priorità all’ambiente nella ricostruzione post-pandemia. Tuttavia, dalla lista dei firmatari dell’impegno mancavano degli stati chiave come la Cina, l’India, gli Stati Uniti ed il Brasile.
Alcuni scienziati, tra cui Richard Primack, un biologo della Boston University, stanno unendo i loro sforzi per valutare gli effetti del nostro comportamento sulla natura, ed in questo senso la pandemia potrebbe essere, nella sua tragedia, una svolta. Il team internazionale di scienziati è infatti a lavoro per condurre delle ricerche, a livello globale, che possano determinare l’impatto del Covid-19 sulla conservazione della natura. Secondo Primack è importante stabilire se i modi in cui gli esseri umani cercano di proteggere la natura stanno davvero funzionando.
Andersen ritiene che i dati lockdown abbiano “dato alle persone un’idea di quanto velocemente le cose possono migliorare se agiamo”. Anche se osservare la flora e la fauna selvatica che prosperavano durante la reclusione dell’umanità potrebbe essere solo una piccola parte di una questione ben più ampia, si spera che comunque ispiri il pubblico a riconnettersi con la natura e a chiedere più protezione per l’ambiente in futuro.