Coronavirus: ecco perché si pensa all’eparina per trattare il Covid-19

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Da quando il coronavirus ha fatto la sua comparsa mostrando di essere in grado di infettare un’ampia fetta di popolazione, si è parlato molto di possibili farmaci. Da tutto il mondo arrivavano notizie di alcuni trattamenti che davano risposte positive su alcuni pazienti, in alcuni casi sembrano anche essere miracolose. Il punto però è proprio il discorso che funzionava solo un gruppo ristretto e non su tutti. Cosa cambia con l’eparina?

I vari farmaci che davano segnali positivi lo facevano perché andava a risolvere qualche sintomo nello specifico. È lo stesso principio dietro l’uso dell’eparina. Uno studio in merito è iniziato con un focus sulle alterazioni della coagulazione e le complicanze trombotiche, sintomi del Covid-19.

Già a gennaio l’Organizzazione mondiale della Sanità aveva suggerito l’uso dell’eparina per evitare il tromboembolismo in chi era stato infettato dal coronavirus. Anche in questo caso però, l’uso di farmaci contenenti tale sostanza non sono risultati efficaci a tutto tondo. Per questo lo studio esplora l’uso di un dosaggio assai più alto.

 

Coronavirus, Covid-19 ed eparina

L’eparina presente dei farmaci può in un certo senso trarre in inganno il virus stesso. Quest’ultimo, quando entra nel nostro organismo e raggiunge i polmoni, attacca le cellule legandosi all’eparan solfato presente su di esse. Come suggerisce il nome, la struttura è simile all’eparina. L’idea è introdurre la suddetta per attirare il SARS-CoV-2 contro di essa e non contro le cellule.

La sperimentazione clinica sta iniziando con 300 volontari e soltanto alla fine dell’iter in questione si scoprirà se sarà un aiuto valido. Molti altri farmaci risultavano promettenti, ma poi gli studi sono finiti in niente.

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