Secondo un rapporto su JAMA Internal Medicine tra i pazienti Covid-19 trattati in 419 ospedali da aprile a giugno, solo il 5% circa aveva un’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Tuttavia questo gruppo di pazienti ha riscontrato percentuali sostanziali di esiti avversi.
Circa uno su cinque necessitava di cure intensive, uno su 10 necessitava di ventilazione meccanica e quasi il 3% è morto. Mentre il tasso di mortalità è inferiore a quello degli anziani, è circa il doppio del tasso di mortalità dei ragazzi per attacchi di cuore, affermano gli autori.
Covid-19, la correlazione tra virus e attacchi cardiaci nei giovani
L’obesità, l’ipertensione e il diabete erano legati a un rischio maggiore di eventi avversi. Per i giovani adulti con più di una di queste condizioni, il rischio di un esito negativo era simile a quello degli adulti di mezza età senza i fattori di rischio. Più della metà dei giovani ricoverati erano neri o ispanici.
Fin dall’inizio di questa epidemia abbiamo osservato come non tutti i pazienti positivi per SARS-CoV-2 presentassero la “classica” sintomatologia da Covid-19 che ormai tutti ben conosciamo: tosse, febbre, stanchezza e difficoltà respiratorie. Alcuni manifestavano disturbi gastrointestinali, altri sperimentavano solo la perdita dell’olfatto o del gusto. Molto poco si è parlato, però, del coinvolgimento del cuore in questi pazienti.
Questi disturbi sono causati da aritmie, problemi alle coronarie, dalla scarsa capacità del cuore di pompare il sangue e dall’infiammazione del cuore. Queste osservazioni, confermano quanto già pubblicato, che in maniera indipendente, hanno riportato dati sul coinvolgimento del cuore nel corso di questa malattia. Nello specifico, i disturbi cardiaci si manifestano con un danno acuto del muscolo cardiaco nel 15-20% dei casi, con aritmie più o meno gravi nel 15% e con insufficienza cardiaca fino al 20% dei casi.
Il recettore ACE2, la porta d’ingresso nelle nostre cellule
Una volta che il virus è penetrato nel corpo, danneggia i polmoni e attiva una risposta
infiammatoria che può coinvolgere il sistema cardiovascolare in due modi. Innanzitutto, infettando i polmoni il livello di ossigeno circolante si riduce e secondariamente la risposta infiammatoria al virus può causare una riduzione della pressione arteriosa. In questi casi il cuore deve battere più forte e più velocemente per garantire l’apporto di ossigeno agli organi più importanti.
Sappiamo ancora che il coronavirus, può infettare oltre che polmone ed il cuore anche altri organi quali: esofago, reni, intestino, vasi arteriosi e venosi. Questi organi sono accomunati dal fatto che le loro cellule presentano in superficie il recettore ACE2, considerato una sorta di “porta di ingresso” per il virus nelle nostre cellule. Nello specifico, in alcuni pazienti il coronavirus può determinare un danno diretto delle cellule del cuore e così come avviene per altre forme di infezioni virali causare una infiammazione del cuore.
Stiamo imparando, quindi, che la malattia da COVID 19 costituisce una realtà molto più complessa di quello che si pensava all’inizio. Questo è molto importante perché le continue acquisizioni scientifiche ci permettono di curare al meglio e sempre più tempestivamente i malati. Il possibile interessamento cardiaco da parte del virus non deve creare allarmi, piuttosto deve aiutare i pazienti a non prendere sottogamba alcuni “campanelli d’allarme”.