Samsung Galaxy Note 7 è ormai il passato per la casa sud coreana, che lo ha definitivamente ritirato dal mercato. Milioni di smartphone che purtroppo devono essere “terminati”, causando anche danno all’ambiente. Ma ci sono ancora troppi punti oscuri sulla vicenda esplosioni: perché accadeva e cosa è andato davvero storto nella progettazione del phablet. Per questo Il Corriere della Sera ha intervistato Carlo Barlocco, presidente di Samsung Electronics Italia, da cui si evincono nuove informazioni su quello che è accaduto ma anche sulla strategia Samsung per il futuro.
Cosa è successo al Galaxy Note 7?
“Stiamo investigando […] Elemento coinvolto sicuramente, come noto, è la batteria, che crea la combustione del litio a contatto con l’aria. Resta da capire con certezza che cosa causasse il surriscaldamento”, questo significa che Samsung ancora non ha capito perché il telefono si surriscaldava così tanto.
Dall’intervista si apprende che in Italia sono stati venduti, attraverso il preordini su internet, esattamente 1950 dispositivi. Dato che bisognava registrarsi per effettuare il preordini, Samsung è riuscita a contattare uno ad uno gli utenti in possesso di Note 7. Ma qualcosa mancava: circa 130 pezzi e addirittura 100 clienti non hanno voluto restituire il telefono.
Perché? Semplice, perché Samsung Galaxy Note 7 è diventato ormai un pezzo raro, come un francobollo. Magari da rivendere tra qualche anno o da esporlo in una teca (speriamo a prova di esplosioni). In ogni caso questi telefoni saranno poco usabili, dato che la stessa Samsung ha rilasciato un aggiornamento software che ne limita la batteria al 60%.
Ma i Galaxy Note 7 non sono pericolosi? Forse sì, ma quei 100 clienti che vogliono tenerselo possono farlo legittimamente, perché non c’è un provvedimento specifico delle autorità. Chissà se nel tempo acquisteranno valore come pezzo raro.