In una pianta molto comune in Giappone, l’Angelica keiskei, è stata scoperta una molecola anti-invecchiamento. Sembra che questo composto sia in grado di allungare la vita di vermi, moscerini, lieviti e delle cellule umane.
A scoprirla un team di ricercatori guidati da Frank Madeo, dell’Università di Graz, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications. Il gruppo di studiosi ha analizzato in particolare, le molecole antiossidanti presenti nelle foglie di questa pianta, identificando un flavonoide che riduce il declino cellulare dovuto all’invecchiamento.
L’Angelica kiskei, la pianta che combatte l’invecchiamento
L’Angelica kiskei è una pianta da fiore delle Apiacee, la famiglia a cui appartengono le carote. È comunemente nota con il nome giapponese di ashitaba (ア シ タ バ o 明日 葉), che tradotto letteralmente significa “foglia di domani”. Si tratta di una pianta originaria del Giappone, in cui si trova maggiormente sulle coste del Pacifico. È una pianta endemica della penisola di Bōsō, della penisola di Miura, della penisola e delle isole di Izu. Questa pianta è da tempo utilizzata nella medicina tradizionale orientale.
Il flavonoide che allunga la vita
La molecola che allunga la vita, scoperta nell’angelica, attiva un meccanismo di riciclaggio cellulare, individuato dal biologo giapponese Yoshinori Ohsumi, per cui vinse il Nobel nel 2016. Il meccanismo di riciclaggio, chiamato autofagia, rimuove i componenti danneggiati della cellula e li degrada, ottenendo così materia prima per costruirne di nuovi.
Nell’essere umano, è proprio il cattivo funzionamento di questo meccanismo a provocare infezioni, infiammazioni, tumori e disturbi legati all’invecchiamento. Un suo funzionamento non corretto infatti, provoca l’accumulo di molecole tossiche nelle cellule.
Risultati soddisfacenti per i test in laboratorio
Nei vari test effettuati in laboratorio, la molecola estratta dall’angelica ha allungato la vita di lievito, drosofile e vermi del 20% circa. Ha inoltre ridotto il declino cellulare dovuto all’invecchiamento di cellule umane in coltura.
Sono stati effettuati anche dei test su alcuni muridi con problemi di cuore. Si trattava di topi con soggetti ad ischemie miocardiche prolungate, su cui il trattamento ha avuto come effetto quello di proteggere i tessuti del cuore. Secondo i ricercatori, questo prova che il meccanismo di autofagia svolge un ruolo importante nella protezione delle cellule.
La molecola estratta dalla pianta giapponese che lo attiva potrebbe quindi essere la chiave per una nuova terapia anti-invecchiamento. Ma per questo saranno necessarie ancora molte ricerche e sperimentazioni, per determinare se questa possa essere una valida strada da percorrere per la ricerca di una cura… contro l’età!