Perché non vediamo le megastrutture aliene? Una nuova teoria svela l’autodistruzione delle sfere di Dyson

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La domanda che affascina scienziati e sognatori da generazioni è sempre la stessa: perché non abbiamo ancora trovato prove della vita extraterrestre? Una nuova teoria, proposta nell’ambito del progetto Breakthrough Listen, fornisce una possibile risposta: non è che gli alieni non ci siano, ma i segni della loro tecnologia potrebbero svanire troppo in fretta per essere osservati.

Le sfere di Dyson: simbolo di civiltà avanzate

Da decenni, una delle ipotesi più affascinanti nella ricerca di tecno-segnali alieni riguarda le cosiddette sfere di Dyson: gigantesche strutture teoriche che circondano una stella per catturarne tutta l’energia, immaginate per la prima volta dal fisico Freeman Dyson negli anni ’60.

In pratica, si tratta di un sistema di satelliti o pannelli solari orbitanti, costruito da una civiltà così avanzata da aver superato i limiti energetici del proprio pianeta.

Il problema? Si autodistruggono

Secondo Brian Lacki dell’Università di Oxford, c’è un dettaglio fondamentale che potrebbe spiegare perché non ne abbiamo mai viste: queste strutture non sarebbero stabili a lungo. Il motivo è la probabilità elevata di collisioni tra i satelliti, che potrebbe innescare una reazione a catena simile alla sindrome di Kessler, ben nota agli ingegneri spaziali terrestri.

Nel giro di ore o giorni, uno sciame orbitale disorganizzato potrebbe andare completamente distrutto. E anche le configurazioni più ordinate, secondo i calcoli pubblicati su arXiv, durerebbero solo pochi milioni di anni: un battito di ciglia, in termini astronomici.

Una gestione attiva potrebbe evitare il collasso

Tuttavia, la situazione non è del tutto senza speranza per le ipotetiche civiltà aliene. Secondo lo studio, una gestione attiva dello sciame di satelliti potrebbe garantirne la stabilità. Come? Attraverso sistemi di navigazione avanzati o sfruttando la pressione di radiazione stellare, impiegando satelliti con vele solari in grado di orientarsi autonomamente, come barche nello spazio.

Una nuova lente sul paradosso di Fermi

Questa teoria offre una spiegazione innovativa e concreta al celebre paradosso di Fermi: se l’Universo pullula di stelle e potenzialmente di civiltà, perché non abbiamo trovato nulla? Forse perché i loro segni tecnologici si autodistruggono prima che possiamo rilevarli. O forse perché non stiamo cercando nel modo giusto, ignorando quanto l’instabilità possa essere la regola – e non l’eccezione – nel cosmo.

Foto di Willgard Krause da Pixabay

Federica Vitale
Federica Vitalehttps://federicavitale.com
Ho studiato Shakespeare all'Università e mi ritrovo a scrivere di tecnologia, smartphone, robot e accessori hi-tech da anni! La SEO? Per me è maschile, ma la rispetto ugualmente. Quando si suol dire "Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere" (Amleto, l'atto indovinatelo voi!)

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