Il rewilding, o anche noto come inselvatichimento o rinaturalizzazione, potrebbe aiutare a combattere gli effetti del cambiamento climatico. A suggerirlo è uno studio condotto dall’Università del Sussex. Il documento proposto si basa su una valutazione globale di ricostruzione trofica.
La speranza, ma soprattutto la convinzione, è che un sistema del genere sia in grado di mitigare quello che sta avvenendo sul pianeta al momento. Come la reintroduzione di specie perdute in habitat potrebbe avere anche un minimo effetto su qualcosa che sembra così potente e fuori dal nostro controllo? Si basa su un effetto a cascata.
Si parla di reintrodurre sia i grandi erbivori che stanno via via sparendo, come gli elefanti, ma anche i grandi predatori, i più famosi sono i lupi. Si parla anche dei castori, una delle poche specie in grado di trasformare in modo incisivo il territorio per via delle dighe che costruiscono.
Rewilding e cambiamento climatico
Uno degli esempi più banali riguarda la distribuzione dei semi. I grandi erbivori da un lato sono in grado di spazzare via grandi quantità di vegetazione. Si tratta sì di un problema in quanto riducono la capacità di catturare il carbonio di una data zona, ma appunto permettono alla vegetazione di espandersi. L’introduzione dei grandi predatori invece servirebbe più che altro a mantenere l’equilibro dei grandi erbivori così da non farli prosperare eccessivamente.
Le parole in merito di uno degli autori dello studio, Chris Sandom: “La cosa fondamentale da ricordare qui è che la natura è complessa e deve essere complessa. Il rewilding trofico mira a ripristinare la natura, compresa la sua complessità, e quindi a consentirgli di seguire il proprio percorso. Questo percorso sarà diverso a seconda del tempo, del luogo e delle possibilità. Ma la buona notizia è che porterà con sé anche una diversità di risultati: la diversità è buona perché anche le esigenze delle persone e della natura sono diverse.”