Un team di ricercatori dell’Università di Harvard, guidati dal professor Avi Loeb, hanno scoperto almeno 50 minuscoli frammenti sferici di metallo nell’Oceano Pacifico, lungo il percorso della palla di fuoco generata dall’entrata nell’atmosfera di quella che forse è la prima cometa interstellare, divenuta meteora, riconosciuta, IM1.
La prima cometa interstellare divenuta meteora e caduta sulla Terra
La palla di fuoco IM1, chiamata anche CNEOS 20140108 , fu avvistata nel Pacifico meridionale, al largo della costa settentrionale della Papua Nuova Guinea, alle 17:05 GMT dell’8 gennaio 2014. Il meteorite aveva probabilmente una massa di 460 kg e un diametro compreso tra gli 80 cm e 1 m.
Come spiega Loeb, quando la meteora fu rilevata ci si accorse subito che stava accelerando oltre il valore richiesto per fuggire dal Sistema Solare. Sulla base delle caratteristiche di volo della meteora e del modo in cui si è disintegrata in tre diversi frammenti 20 km sopra la superficie dell’oceano, è apparso subito chiaro che questo oggetto era più resistente in termini di forza materiale rispetto a tutte le altre 272 meteore nel catalogo CNEOS della NASA.
Nel 2019 venne dunque proposta l’idea che potesse trattarsi di una cometa interstellare. Ipotesi poi confermata al 99,99% con un nuovo studio dello scorso anno. Il team di ricerca guidato da Loeb ha deciso quindi di recuperarne i frammenti in una spedizione iniziata il 14 giugno 2023.
Il recupero e l’analisi dei frammenti
Dopo essere riusciti a calare il mezzo sottomarino, dotato di uno strumento magnetico in grado di catturare i frammenti metallici, il team è stato in grado di recuperare diversi frammenti, impiegando qualche giorno per analizzare il materiale raccolto e capire se vi fossero davvero frammenti della cometa interstellare.
Secondo Loeb, analizzando il materiale prelevato dal fondale oceanico, il team ha trovato una piccola straordinaria sfera metallica di dimensioni inferiori al millimetro e massa inferiore al milligrammo. Analizzandola con la fluorescenza a raggi X, il team ha scoperto che era composta per l’84% di ferro, l’8% di silicio, il 4% di magnesio e il 2% di titanio, più alcuni oligoelementi.
In poche ore di analisi del materiale, il team è riuscito ad identificare più di 50 frammenti sferici dal sito di atterraggio di IM1. Si tratta di “sfere di dimensioni inferiori al millimetro, che appaiono al microscopio come bellissime biglie metalliche. Erano concentrate lungo il percorso previsto di IM1, a circa 85 chilometri dalla costa dell’isola di Manus in Papua Nuova Guinea”, ha affermato Loeb.
Cinque di queste sferule sono state analizzate “con un microscopio elettronico a scansione e spettroscopia di massa con ablazione laser“. Da questa analisi è emerso che le sferule provenivano tutte dallo stesso oggetto madre.
Una cometa interstellare incredibilmente anziana
Loeb racconta che “è interessante notare che le sferule meteoriche mostrano prove di un rapido riscaldamento con dendriti superficiali la cui separazione spaziale può essere utilizzata per stimare la temperatura più alta che hanno raggiunto nella palla di fuoco. Abbiamo anche notato una struttura interna simile a una serie di sfere all’interno di sfere, che implica eventi di fusione gerarchica di goccioline durante l’esplosione”.
“Ma la cosa più interessante è che la spettroscopia di massa ha rivelato la presenza di uranio e piombo. Poiché l’isotopo di uranio-238 decade in piombo-206 con un tempo di dimezzamento di 4,47 miliardi di anni e l’uranio-235 decade in piombo-207 con un tempo di dimezzamento di 0,71 miliardi di anni, i ricercatori sono riusciti a farsi un’idea dell’età della cometa interstellare che ha dato vita alle sferule.”
Come spiega Loeb, “sulla base dell’abbondanza misurata di uranio-238, piombo-206, uranio-235 e piombo-207, ho calcolato che le due sferule dal percorso meteorico hanno un’età dell’ordine pari all’età dell’Universo (13,8 miliardi di anni), mentre il la sfera di fondo ha un’età dell’ordine pari all’età del Sistema Solare (4,6 miliardi di anni).”
“Nelle prossime settimane esamineremo ulteriormente qualsiasi indizio che le sferule siano diverse dai materiali del sistema solare. Questo costituirà una prova indipendente dell’origine interstellare di IM1 oltre alla sua velocità misurata”.
Fonte: The Astrophysical Journal
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