È finalmente arrivato il giorno tanto atteso. Nella conferenza tenutasi oggi pomeriggio alle 15:00 a Bruxelles, è stata mostrata quella che è la prima immagine di un buco nero. I ricercatori del progetto Event Horizon Telescope (EHT) hanno immortalato l’orizzonte degli eventi del buco nero supermassiccio M87, al centro della galassia Messier 87 A, che si trova nell’ammasso galattico più vicino a noi.
A raccontare l’evento in diretta per Focus, il professor Dotti dell’Università di Milano, il quale ha spiegato le caratteristiche di un buco nero, questo corpo celeste che “non ha una reale superficie tangibile. (…) È come un fiume che ad un certo punto ha una cascata, l’acqua a monte è lenta ma quando ci si avvicina alla cascata aumenta di velocità precipitando poi nella cascata. I pesci di questo fiume cosmico sono rappresentati dalla la materia che si muove alla velocità al massimo pari a quella della luce, man mano che i “pesci” cosmici si avvicinano all’orizzonte degli eventi, precipitando poi nella massa oscura del buco nero”.
La storia della teoria dei buchi neri
I primi concetti di qualcosa di simile ad un buco nero risalgono già alla meccanica Newtoniana. Ma la prima vera formulazione dell’ ipotesi buco nero fu da parte di Einstein nella sua Teoria della Relatività Generale, che fu pubblicata per la prima volta dal fisico tedesco Karl Schwarzschild, nel 1916. Il termine “buco nero” fu poi reso popolare dal fisico statunitense John Archibald Wheeler negli anni ’60.
L’Event Horizon Telescope, una delle reti di radiotelescopi più importanti
EHT è una rete di radiotelescopi in grado di simulare un unico radiotelescopio grande come il nostro Pianeta. Che è in effetti la misura necessaria di un telescopio che possa fotografare un buco nero. La cosa più importante è che i diversi telescopi che formano l’EHT siano perfettamente sincronizzati, poiché una eventuale asincronia, porterebbe ad una ricezione disturbata che darebbe vita ad un immagine disturbata, Un immagine non nitida od incompleta si otterrebbe anche in caso di una rete di radiotelescopi troppo piccola.
Tutti i dati dell’EHT vengono poi salvati su degli hard disk abbinati a dei supercomputer che ne elaboreranno i dati. Si è dovuto ricorrere a degli hard disk fisici, in quanto la quantità di dati registrata è troppo grande da poter essere inviata tramite internet. Ed in quanto, come ha affermato durante la conferenza il prof. Eduardo Ross, in alcuni luoghi non vi era disponibilità di connessione. L’elaborazione di questa enorme quantità di dati a posteriori è quella che ha dato vita all’immagine che ora possiamo osservare.
Ciò che viene analizzato con la rete di radiotelescopi EHT, sono le radiazioni elettromagnetiche emesse dai buchi neri, non osservabili quindi con un normale telescopio, in quanto hanno una lunghezza d’onda al di fuori del visibile.
I due candidati iniziali, M87 e Sagittarius A*
Nei giorni di attesa prima della conferenza, oltre al buco nero M87, era stato proposto come probabile candidato anche il buco nero al centro della nostra galassia, il supermassiccio Sagittarius A*. Il buco nero della Via Lattea si trova a circa 26 mila anni luce dal sole ed ha una massa di 4 milioni di volte maggiore di quella della nostra Stella. I due candidati sono stati proposti in base alla loro grandezza e alla loro distanza. Per poter essere fotografato, il buco nero doveva infatti essere angolarmente di una grandezza sufficiente. Anche se Saggittarius A* è più piccolo, è più vicino del buco nero M87, che è si molto più grande, ma anche più lontano.
Le prime simulazioni e i primi abbozzi di un buco nero
La prima immagine fu un vero e proprio disegno fatto di puntini, realizzato nel 1979 da J. Pierre Luminette, il quale realizzò successivamente anche una seconda immagine più tridimensionale. Da qui si è passati attraverso numerose simulazioni, di cui l’ultima proprio lo scorso anno, fino a giungere alla prima vera fotografia di un buco nero.
La conferenza di Bruxelles: il momento in cui viene svelata l’immagine di M87
Ad aprire la conferenza il Commissario Europeo per la Ricerca, Carlos Moedas, il quale ha affermato che per ottenere questa foto è stata necessaria la collaborazione di 40 diversi paesi ed un investimento da parte dell’Europa soltanto di 44 milioni di euro. Con molto entusiasmo Moedas, ha dichiarato che la storia della scienza è ora divisa in due, quella precedente e quella successiva a questo momento magico, che Einsten sogno più di 100 anni fa, nel 1915, quando propose la sua teoria della relatività generale. Moedas ha concluso la sua introduzione citando Stephen Hawkin, ed affermando che “i fatti sono talvolta più bizzarri della finzione”.
Con questa enigmatica frase, Moedas ha lasciato il posto al professore Heino Falcke, il quale ha, effettivamente e con molta emozione, mostrato al mondo la prima immagine del buco nero, dopo aver presentato e ringraziato tutti i membri del team. Si tratta della prima immagine del buco nero Supermassiccio M87 che si trova la centro della galassia Messier 87 A.
M87 si trova a circa 500 miliardi di km dal Sole e si è potuto misurare il suo diametro, che è risultato essere di 100 miliardi di km, per una massa di 6,5 miliardi di volte maggiore rispetto a quella del sole.
L’emozione del prof. Falcke è trasparita nell’affermare che non si trattava di una simulazione o di un animazione, ma dell‘immagine di un anello di fuoco e luce modellato dalla fortissima gravità e dalla deformazione spazio-temporale. L’immagine riguarda in realtà l’orizzonte degli eventi del buco nero, ma ciò che si può osservare al suo interno, è di fatto l’immagine dell’ombra del buco nero, l’ombra di quel luogo da cui nemmeno la luce può sfuggire, proprio come aveva predetto Einstein. L’immagine dell’orizzonte degli eventi del buco nero M87, rappresenta per il prof. Falcke “i cancelli dell’eternità”.
Dato che non è possibile eseguire esperimenti all’interno del buco nero, o meglio sarebbe possibile ma non ne vedremmo i risultati, ciò che ha permesso ai ricercatori di affermare che si tratti con certezza dell’orizzonte degli eventi, è il fatto che l’immagine ottenuta dall’EHT, corrisponde perfettamente ai modelli e alle simulazioni fino ad ora ottenuti.
L’immagine mostra cosa accade al plasma quando viene catturato dal buco nero, come ruota a velocità prossime a quelle della luce, accelerando e scendendo quella scala a spirale che lo conduce all’interno del buco nero. “Ora l’orizzonte degli eventi non è più solo un prezioso concetto matematico, ma è diventato un oggetto fisico, osservabile e misurabile con metodo scientifico”, ha così concluso il so emozionante discorso Henio Falcke, prima di passare la parola al prof. Dr. Eduardo Ros del Max-Planck-Institut für Radioastronomie di Bonn.
Il lavoro dell’EHT spigato dal prof. Eduardo Ros
Il prof. Ros ha spiegato come è stata ottenuta l’immagine e come ha lavorato il team dell’EHT. L’intera squadra ha continuato ad osservare e a raccogliere dati nell’attesa del momento giusto. La rete di radiotelescopi che si estende dal Massachusetts fino all’Antartide, passando per l’Europa, ha raccolto una quantità enorme di dati per diversi mesi. I dati sono stati salvati su hard disk e inviati ad un centro specifico che li ha sincronizzati, prima di essere inviati ai centri di ricerca che li hanno analizzati ed elaborati. “In totale sono stati raccolti talmente tanti dati che avrebbero necessitato di un hard disk di 6 metri cubi, per generare questa immagine”, ha dichiarato Ros.
L’elaborazione dell’enorme quantitativo di dati
A parlare di come è avvenuta l’analisi e l’elaborazione dei dati è stata l’astrofisica Monica Moscibrodzka, la quale ha descritto i dati raccolti dall’EHT come “i pezzi di un puzzle, che abbiamo dovuto comporre e di cui abbiamo dovuto colmare i divari per creare l’immagine che stiamo osservando”. Il processo è stato diviso in due fasi, si è infatti inizialmente proceduto con delle analisi individuali e indipendenti, che sono state poi confrontate assieme e con nuove elaborazioni dei dati, così da escludere qualsiasi possibilità di soggettività nell’elaborazione dei dati.
Sono stati elaborati indipendentemente i dati relativi a quattro giorni diversi, e da ogni elaborazione indipendente si sono ottenuti gli stessi identici risultati, le stesse dimensioni sia dell’anello dell’orizzonte degli eventi che dell’ombra del buco nero. Confermando quindi che si tratta di un immagine reale del buco nero M87.
La Moscibrodzka, ha spiegato anche perché l’anello dell’orizzonte degli eventi non è uniforme, ma sembra molto più luminoso nella parte inferiore. Questo è dovuto alla rotazione nel materiale attirato dalla gravità del buco nero. I ricercatori non sono riusciti a calcolare la velocità di rotazione, ma la direzione si. Il materiale ruota in senso orario, confermando di nuovo le teorie di Einstein, che lo aveva predetto 100 anni fa.
L’importanza dell’ Event Horizon Telescope e lo sforzo compiuto per scrivere questa pagina della storia dell’astrofisica
Anton Zensus, direttore presso MPIfR e presidente del Consiglio di collaborazione EHT, ha concluso la conferenza di Bruxelles, sottolineando l’importanza per la scienza di questo evento. Un momento storico che cambierà la nostra conoscenza futura dell’universo e che ha richiesto l’impiego di avanzatissimi radiotelescopi, ovvero: ALMA, APEX (gestito congiuntamente da MPIfR, ESO e OSO in Svezia), il telescopio IRAM da 30 metri, il James Clerk Maxwell Telescope, il Large Millimeter Telescope, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il telescopio del polo sud.
Sono passati 40 anni dalla creazione del primo radiotelescopio, e dopo decenni finalmente il momento che tutti aspettavano, l’immagine del buco nero supermassiccio M87. Un buco nero attivo che continua il suo accrescimento, con il plasma che cade oltre l’orizzonte degli eventi emettendo i getti relativistici a velocità prossime a quelle della luce.
Un momento davvero importante che forse un giorno potrebbe condurci anche all’immagine del buco nero supermassiccio della nostra galassia, Sagittarius A*, l’elusivo ospite del centro della Via Lattea. Ed è proprio questo a renderlo difficilmente osservabile, trovandosi nella nostra galassia, si frappone molto materiale tra noi e Sagittarius A*. Ma chi sa forse un giorno potremmo provare nuovamente l’emozione di ammirare la foto di un buco nero.