Identificata la prima persona preistorica con la sindrome di Turner

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Un recente studio archeologico ha utilizzato avanzati metodi computazionali per identificare la prima persona preistorica conosciuta con la sindrome di Turner, una condizione genetica che coinvolge un solo cromosoma X anziché due nelle persone di sesso femminile. Pubblicato sulla rivista Communications Biology, lo studio ha applicato una nuova tecnica computazionale alla genomica antica, permettendo agli scienziati di analizzare con precisione i cromosomi sessuali e scoprire quattro individui con varie sindromi genetiche del sesso.

Il team di ricerca, guidato da Kakia Anastasiadou del Francis Crick Institute e Rick Schulting dell’Università di Oxford, ha utilizzato un database ampio di DNA antico del progetto Thousand Ancient British Genomes. Questa nuova tecnica ha permesso loro di identificare il primo individuo preistorico con la sindrome di Turner risalente a circa 2.500 anni fa. Inoltre, hanno individuato un individuo con la sindrome di Jacobs (XYY) dell’Alto Medioevo e tre persone con la sindrome di Klinefelter (XXY) in periodi diversi, insieme a un bambino dell’età del ferro affetto da sindrome di Down.

Secondo gli autori, questo studio offre nuove prospettive sulle percezioni dell’identità di genere nel corso della storia. Nonostante la mancanza di beni o sepolture insolite per questi individui, la ricerca potrebbe contribuire a comprendere come essi vivevano e interagivano con la società del loro tempo. La coautrice Anastasiadou sottolinea che la genomica antica sta rivoluzionando la capacità di esaminare la biologia umana nel corso di migliaia di anni, fornendo informazioni sulla variazione fenotipica, sulla stratificazione sociale e sulla salute nel corso della storia.

Il cranio di una giovane donna affetta dalla sindrome di Turner è stato trovato in un sito dell’età del ferro nel Somerset, Regno Unito. L’analisi genetica ha rivelato un mosaico di cellule con uno o due cromosomi X, caratteristico della sindrome di Turner. L’analisi osteologica ha indicato prove di crescita ritardata e l’assenza della pubertà. Gli altri individui con sindromi genetiche del sesso hanno mostrato caratteristiche coerenti con le loro condizioni specifiche.

Questo approccio innovativo al DNA antico potrebbe aprire nuove possibilità nello studio del sesso nel passato, superando le categorie binarie tradizionali. Pontus Skoglund, coautore e direttore dell’Ancient Genomics Laboratory al Crick, ha sottolineato che il metodo sviluppato è in grado anche di classificare la contaminazione del DNA e può essere applicato a resti archeologici difficili da analizzare. L’integrazione di dati genomici con il contesto di sepoltura e i possedimenti può offrire una prospettiva storica sulle percezioni passate del sesso, del genere e della diversità.

In conclusione, questo studio rappresenta un passo significativo nel comprendere la diversità genetica e le sfaccettature dell’identità di genere nelle società preistoriche, offrendo nuovi strumenti e approcci per esplorare il passato attraverso la lente della genomica antica.

Federica Vitale
Federica Vitalehttps://federicavitale.com
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