In un recente studio, pubblicato sulla rivista Nature, un team di scienziati ha evidenziato alcune caratteristiche davvero particolari di alcuni pesci fossili ritrovati in Canada. Sembra infatti che questi ancestrali predatori marini siano dei pesci con le dita.
La ricerca mostra infatti alcuni straordinari indizi su come si possano essere evolute le mani dalle creature marine. Le scansioni di questo esemplare fossile, mostrano infatti nelle strutture della pinna del pesce con forti somiglianze alle ossa della mano umana. Lo scheletro delle pinne ha infatti analogie con il braccio, l’avambraccio e persino le dita umane.
Secondo il professor John Long, della Flinders University in Australia, si tratta della prima evidenza scientifica della presenza di strutture analoghe alle dita nella pinna di un pesce di 380 milioni di anni fa. Le parti articolate presenti nella pinna di questo pesce, assomigliano molto infatti alle ossa delle dita della maggior parte degli animali.
Secondo il professor Long, questa scoperta sposta molto indietro nel tempo, il momento in cui dai pesci è iniziata una sorta di evoluzione verso la vita terrestre. Il modello delle mani dei vertebrati, si è dunque iniziato a sviluppare prima che i pesci iniziassero ad uscire dall’acqua.
Le prime tracce fossili di questa specie di pesce, l’Epistostege, furono rinvenute nel 1938 in Canada, tra le scogliere del Parco Nazionale di Miguasha, in Quebec. Ma fu soltanto nel 2010 che venne ritrovato il primo esemplare fossile intero. Dagli studi si ritiene che questo pesce abbia vissuto nei bassi fondali marini del Quebec nel Medio ed Alto Devoniano, ovvero tra i 393 ed i 359 milioni di anni fa.
Secondo gli studiosi, questa specie è considerata un “fossile di transizione”, il cui studio potrebbe aiutarci a comprendere come sia avvenuto il passaggio dei vertebrati dall’acqua alla terraferma. Nuovi indizi potrebbero dunque essere svelati, sul processo che ha portato alla nascita degli arti, delle mani e dei piedi.
Secondo il dott. Richard Cloutier, dell’università del Quebec, queste parti articolate nella pinna dell’Epistostege, sarebbero servite all’animale per sostenere il suo peso nelle acque poco profonde da lui abitate, oltre che per condurre brevi incursioni sulla terraferma. Secondo quanto da lui dichiarati infatti, “l’aumento del numero di piccole ossa nella pinna consente di avere più piani di flessibilità, in modo da distribuire il peso dell’animale sulla pinna.”
La ricerca è stata eseguita da un team internazionale di paleontologi, australiani e canadesi. Per condurre lo studio i ricercatori hanno eseguito delle scansioni di tomografia computerizzata (scansioni TC), ovvero sono state eseguite della TAC al fossile del pesce con le dita. Si è trattato di TAC ad alta energia eseguite per studiare la pinna pettorale, utilizzata dall’Epistostege per direzionare il movimento.
Questo tipo di analisi ha evidenziato nella pinna, la presenza di strutture omologhe all’omero, alla coppia radio e ulna, al polso e alle dita.
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