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Il nuovo Oneplus 8 Pro appare in esclusiva sulla piattaforma Geekbench

Dal 2018, una delle aziende di minore importanza che ha fatto una crescita esponenziale nel settore degli smartphone è Oneplus. La società americana, grazie allo smartphone Oneplus 6, tuttora un device molto apprezzato, ha aumentato notevolmente il proprio bacino di utenza, arrivando a creare una solida base. Nell’attesa dell’evento ufficiale dell’azienda statunitense al CES 2020 di Las Vegas, è apparso in esclusiva sulla piattaforma specializzata Geekbench, sotto il nome in codice di “Galilei”, il futuro OnePlus 8 Pro, che presenta una scheda tecnica di altissimo livello, come confermato anche dal CEO Pete Lau.

 

 

La scheda tecnica dell’OnePlus 8 Pro

Ovviamente, essendo ancora non del tutto ufficiale, non bisogna dare vere al 100% queste informazioni riguardanti la scheda tecnica dello smartphone. Il device avrà un display da 6,7″ Super AMOLED con risoluzione 3180 x 1440 pixel, con due fori contenenti le fotocamere anteriori, da 32 megapixel e l’altra specifica per il ToF. Il comparto hardware è composto dal SoC Snapdragon 865 supportato da 8/12 Gb di RAM e 128/256 Gb di memoria interna, in base al modello che di decide di acquistare.

Il comparto fotocamere posteriore è composto da tre sensori, rispettivamente da 60 mp, 16 mp e 13 mp, ognuno con specifiche funzioni. Lo smartphone avrà due batterie da 2250 mAh, per un totale di 4500, e supporterà la ricarica rapida a 50W. Infine, avrà la certificazione IP53, la funzione NFC, e la porta USB Type-C.

Non si sa nulla riguardo il prezzo di listino e la data di rilascio. Non resta che aspettare la presentazione ufficiale dell’Oneplus 8 Pro, che probabilmente avverrà a breve, insieme alla versione base e la versione Lite.

Esopianeti: alla ricerca di ossigeno in mondi lontani

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Un team di scienziati della University Research Space Association presso il Goddard Space Flight Centre della NASA, guidati da Thomas Fauchez, è al lavoro per cercare tracce di ossigeno negli esopianeti con l’utilizzo del James Webb Space Telescope, uno strumento all’avanguardia in grado di scrutare le atmosfere di questi pianeti lontani.

 

Il segnale di ossigeno rilevabile dal James Webb Space Telescope

Sembrerebbe infatti che il team di Fauchez abbia individuato un segnale molto forte prodotto dallo scontro di molecole di ossigeno che, secondo i ricercatori, potrebbe essere rilevato dal James Webb all’interno delle atmosfere degli esopianeti. La scoperta di ossigeno in questi mondi lontani potrebbe rappresentare un grande passo avanti nella ricerca della vita extraterrestre.

Come affermano i ricercatori nel loro studio, pubblicato su Nature Astronomy, prima di questa ricerca il James Webb Telescope non era ritenuto in grado di rilevare tracce di ossigeno a livelli simili a quelli che ci sono sul nostro Pianeta. Il team di ricerca ha invece individuato un nuovo metodo per rendere l’ossigeno rilevabile da questo potente telescopio nelle atmosfere degli esopianeti.

 

Alla ricerca di ossigeno sugli esopianeti

In realtà questo tipo di segnale dell’ossigeno è noto sin dagli inizi degli anni ’80, scoperto durante alcuni studi sull’atmosfera terrestre. Ma ora il team di Fauchez ha trovato un modo per sfruttarlo nella ricerca di ossigeno su altri pianeti.

I ricercatori hanno creato un modello computerizzato che riproduce il sistema planetario di una stella nana di tipo M. Queste stelle, più piccole e più fredde del Sole, hanno un’intensa attività esplosiva che genera un notevole quantitativo di luce ultravioletta. Nel loro modello i ricercatori hanno ricreato questa radiazione ultravioletta, studiandone l’impatto sull’atmosfera dell’esopianeta attorno alla stella nana e le conseguenze sulla chimica dell’atmosfera.

Usando questo modello è stato possibile per i ricercatori simulare il modo in cui le diverse lunghezze d’onda della luce stellare (ognuna con il suo colore) si modificano al passaggio del pianeta davanti alla nana M. In questo modo è possibile identificare questa particolare traccia di ossigeno nell’atmosfera degli esopianeti.

Quando la luce della stella attraversa l’atmosfera del suo pianeta infatti, l’ossigeno ne assorbe una porzione specifica, cioè tutta la radiazione infrarossa con lunghezza d’onda di 6,4 µm. E l’assorbimento della luce da parte dell’ossigeno dipende proprio dall’energia della collisione tra le molecole di ossigeno. Ed è proprio l’assorbimento di questa luce infrarossa che, invisibile all’occhio umano e ad un normale telescopio, può invece essere rilevata dal James Webb Space Telescope.

 

La presenza di ossigeno potrebbe significare anche la presenza di un atmosfera

La scoperta di un eventuale abbondante presenza di ossigeno in un esopianeta che orbita attorno ad una nana M, potrebbe indicare semplicemente che quel pianeta ha un’atmosfera, e potremmo scoprirlo solo con una semplice osservazione dei transiti da parte del James Webb. Un aspetto da non sottovalutare se si tratta di un pianeta che orbita attorno a questo tipo di stella nana.

Come ricorda Fauchez infatti “questo è importante perché le stelle nane M sono molto attive ed è stato ipotizzato che l’attività stellare possa spazzare via intere atmosfere planetarie. Sapere se un pianeta in orbita attorno a una nana M ha avere un’atmosfera è importante per comprendere le interazioni stella-pianeta attorno a queste stelle, numerose e attive”.

Ma anche se individuassimo alte concentrazioni di ossigeno nell’atmosfera di un esopianeta, questo non indica necessariamente che ci sia vita sul pianeta. L’ossigeno infatti, che sulla Terra è il prodotto della fotosintesi clorofilliana, potrebbe infatti accumularsi nell’atmosfera di un esopianeta per cause indipendenti dall’attività vitale, come ad esempio l’evaporazione dei suoi oceani. Un’atmosfera densa di ossigeno potrebbe dunque non essere un segnale univoco di presenza di vita su un pianeta extraterrestre.

Vulcano Taal: una immensa colonna di fumo e cenere nelle Filippine

Ieri mattina si è verificata una violenta esplosione del vulcano Taal, uno stratovulcano attivo tra i più pericolosi della Terra che si trova nelle Filippine, sull’isola di Luzon, precisamente nella regione di Calabarzon. Questo vulcano sorge al centro dell’isola di Taal, in una grande caldera di 25 km ed ha un cratere di 1900 metri di diametro. Inoltre questo vulcano si trova ad appena 65 km dalla capitale Manila, densamente popolata ed è una meta turistica molto nota e ambita a livello internazionale.

 

La violenta esplosione del vulcano Taal fa temere nuove eruzioni

L’esplosione del vulcano ha portato nella giornata di ieri all’evacuazione di oltre 2.000 persone tra San Nicolás, Balete e Talisay. La forte esplosione ha provocato inoltre l’innalzamento di una colonna di cenere di 4 km di altezza nonché forti scosse di terremoto ed una tempesta di fulmini vulcanici.

Ciò che ora si teme è che possano verificarsi nuove eruzioni, che potrebbero anche essere più violente e potrebbero verificarsi nei prossimi giorni o addirittura nelle prossime ore come ha spiegato Renato Solidum, capo dell’Istituto filippino di vulcanologia e sismologia. Proprio per questo si sta ora valutando la possibilità per i funzionari di ordinare l’evacuazione di una zona più ampia, come Solidum ha confermato.

Per il momento non ci sono molte notizie dalle aree più prossime al vulcano e le poche che sono pervenute sono per lo più dei post sui social network di alcuni residenti della zona., che comprendono alcune immagini della colonna di cenere sopra il vulcano.

Il locale ufficio delle calamità ha dichiarato di aver evacuato più di duemila residenti delle zone attorno al vulcano, precisamente i residenti dell’isola, che si trova all’interno del lago formato da precedenti attività vulcaniche del Taal.

Prima d’ora l’ultima eruzione del vulcano Taal risale al 1977. Ma le più terribili furono nel 1965 quando provocarono circa 200 morti e nel 1911 con ben 1300 vittime. I vulcanologi ed i sismologi sono anche abbastanza certi di altre 33 esplosioni del vulcano Taal nel 1572.

La misteriosa piaga in Cina ha fatto la prima vittima

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Nelle ultime settimane è scoppiata una misteriosa piaga in Cina nella città di Wuhan. I casi finora registrati di persone colpite dal morbo sono state finora più di 700, un numero che non sale da settimane sintomo del fatto che qualunque cosa sia stata ormai non è più presente, per lo meno nella zona. In ogni caso, la commissione sanitaria ha riferito che è morto il primo paziente. Come spesso succede in questo casi è un uomo anziano, anche se non eccessivamente, 61 anni.

Nonostante la comparsa della misteriosa malattia delle vie respiratorie risalga a più di un mese fa, i responsabili sanitari brancolano ancora nel buio. Detto questo però, per fortuna è stata escluso un responsabile che fa paura, il virus SARS che 17 anni fa aveva mietuto quasi 1000 persone. Ovviamente, considerando che quest’ultimo ha colpito sempre in quella zona, c’è paura.

 

La misteriosa piaga e la prima vittima in Cina

L’uomo che è morto era un cliente abituale del mercato dove è stato che è nata la piaga. Per quanto l’uomo presentava una salute cagionevole, la sua morte potrebbe causare del panico ulteriore nella regione. Tra non molto dovrebbe iniziare la più grande festa cinese, il Festival di Primavera, e non serve spiegare che potrebbe essere pericoloso.

Il governo cinese sta compiendo enormi sforzi per cercare di monitorare la situazione. In queste settimane ha mandato in giro per le varie stazioni e aeroporti un gran numero di soldati e poliziotti per cercare di rintracciare chiunque abbiamo frequentato il mercato di Wuhan. Detto questo, finora non si è aggiunto nessuno alla lista di infetti.

NASA: ecco i 13 nuovi astronauti per la missione Artemis

Ecco i 13 astronauti che si sono appena aggiunti al team della NASA per la missione che porterà la prima donna sulla luna e i primi esseri umani su Marte. Fila superiore: LR Matthew Dominick, Kayla Barron, Warren Hoburg e Joshua Kutryk di CSA. Fila centrale: Bob Hines, Frank Rubio, Jennifer Sidey-Gibbons di CSA, Jasmin Moghbeli e Jessica Watkins. Fila in basso: Raja Chari, Jonny Kim, Zena Cardman e Loral OHara. Le file sono indicate da sinistra a destra

Si è appena concluso il reclutamento dei 13 nuovi astronauti della NASA che faranno parte del XXII gruppo, quello che parteciperà alle missioni sulla Luna e su Marte. Sarà infatti una donna di questo gruppo la prima ad andare sulla Luna, e tra di loro forse ci sono anche le prime donne ed i primi uomini che metteranno piede su Marte.

 

I tredici astronauti del gruppo XXII della NASA

Questo nuovo gruppo di astronauti ha iniziato il proprio addestramento nel 2017 e dopo tre anni di duro lavoro e sacrifici, ha ricevuto la laurea pubblica per gli astronauti lo scorso venerdì, presso il Johnson Space Centre della NASA a Huston.

Con questa nuova classe di astronauti, sale dunque a 48 il numero di astronauti della NASA in attività nei suoi ranghi. Ma l’Agenzia statunitense non smette mai di guardare al futuro e progetta già di aprire un nuovo bando per questa primavera.

La squadra appena laureata è costituita da sei donne e sette uomini, scelti tra oltre 18.000 candidati, che durante la cerimonia a Huston hanno ricevuto la spilla d’argento simbolo del Mercury 7, il primo gruppo di astronauti che si unì alla NASA nel 1959. Al completamento dei loro primi voli spaziali, gli astronauti riceveranno invece la spilla d’oro.

Per quasi tre anni, i candidati si sono formati nell’istruzione, nella pratica e nei test spaziali; così come nella robotica e nei sistemi della Stazione Spaziale Internazionale; nella conoscenza del jet T-38 e nella lingua russa. Le nuove competenze li aiuteranno a sviluppare veicoli spaziali, a supportare le squadre attualmente nello spazio e, infine, ad entrare a far parte di quel piccolo gruppo di persone che hanno avuto l’onore di andare nello spazio.

 

La missione Artemis: l’uomo di nuovo sulla Luna

Di questo team faranno dunque parte i due astronauti, una donna ed un uomo, che andranno sulla Luna con la missione Artemis nel 2024. A questa missione seguiranno poi altre missioni con obiettivo il nostro satellite, almeno una l’anno secondo la NASA. Mentre prima che l’uomo pensi di arrivare su Marte bisognerà aspettare il 2030.

Secondo la NASA per la missione Artemis verranno utilizzate tecnologie innovative per esplorare la superficie lunare in modo molto approfondito. La NASA ha infatti dichiarato: “collaboreremo con i nostri partner commerciali e internazionali per stabilire un’esplorazione sostenibile entro il 2028. Quindi, useremo ciò che apprenderemo sulla Luna per compiere il prossimo grande passo: l’invio di astronauti su Marte.

Artemis sarà la seconda grande serie di missioni sulla luna gestite dall’agenzia spaziale americana, ma sarà molto più complessa delle precedenti missioni Apollo. Si tratterà infatti di una missione sia pubblica che privata e con molta più robotica rispetto alle precedenti.

La missione Artemis prevede anche una stazione spaziale intermedia, il Gateway, che fungerà da base di collegamento, tra la Terra e la Luna, per gli astronauti. Sarà infatti da questa stazione che gli astronauti partiranno alla volta del nostro satellite, su un lander ancorato alla stazione spaziale orbitante. La stazione Gateway sarà inoltre utilizzata per osservazioni più ravvicinate della Luna.

I lanci della missione Artemis avverranno tramite lo Space Launch System, uno dei più grandi missili mai creati. L’equipaggio sarà invece a bordo di un veicolo spaziale più piccolo, chiamato “Orion”, che sarà in grado di raggiungere la Luna in “un paio di giorni”, secondo quanto affermato dalla NASA.

 

Dalla Luna a Marte, li grandi progetti della NASA

Lo scopo della NASA con la missione Artemis è quello di stabilire una base sulla Luna così da potervi lavorare in modo sostenibile e creare la prima colonia umana nello spazio. Secondo quanto affermato dalla NASA la superficie lunare sarà un terreno di prova per vivere su Marte. Questo prossimo capitolo dell’esplorazione spaziale stabilirà per sempre la nostra presenza tra le stelle”.

Per Jim Bridgestine, amministratore della NASA, “queste persone rappresentano il meglio dell’America e si sono uniti al nostro corpo di astronauti in un momento davvero incredibile. Il 2020 segnerà il ritorno del lancio di astronauti americani con razzi americani che partiranno dal suolo americano. Un anno di importanti di progressi per il programma Artemis e per le missioni sulla Luna e oltre nello spazio”.

Allarme nucleare per un incidente all’impianto: l’avviso di emergenza era un errore

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Immaginate la situazione. State pranzando pacificamente in una domenica soleggiata, ma fredda. Tutto procede alla normalità quando vi arriva un messaggio da incubo sullo smartphone. “Emergency Alert” segnale in caratteri minacciosi. Si tratta di un messaggio d’allarme nucleare automatico inviato a tutta la popolazione nei pressi di un impianto nucleare in Canada. C’è stato un incidente alla centrale di Pickering, ma non dovete preoccuparvi visto che non ci sono fuoriuscite di materiale radioattivo. Non viene data nessuna istruzione, ma di stare in attesa di altri possibili messaggi.

Stare calmi? Ovvio, un messaggio d’allarme nucleare e bisogna stare calmi. Facile, soprattutto se vive a meno di 10 chilometri da tale impianto e con la memoria del non troppo recente disastro avvenuto in Giappone, a Fukushima. Passa un’ora, passa un’ora dove non sai se rimanere lì, se andare più lontano possibile, se raccogliere tutto quello che puoi quando arrivano altri informazioni.

 

Ops, l’allarme nucleare era un errore

L’account twitter della città legata alla centrale nucleare fa sapere che non c’è nessuna emergenza e che tutto funziona a dovere. Il messaggio è stato un errore. Ottimo. Un’ora di vita passata a preoccuparsi per poi scoprire che tutto è stato un errore. Da un lato meglio così, sicuramente. Le autorità hanno anche riferito che ci sarà un’indagine in merito in quanto è stato un errore parecchio grave.

Se qualcuno si ricorda, due anni fa era successo qualcosa di simile negli Stati Uniti. Gli abitanti delle Hawaii avevano ricevuto un messaggio d’allarme simile solo che faceva riferimento al lancio di missili verso quella regione.

Principe Harry e Meghan: le risposte del pubblico al Sussexit su internet

In questi giorni si parla molto della recente decisione del Principe Harry e di Meghan Markle. Lo scorso 8 gennaio infatti, la coppia reale dei duchi del Sussex, ha annunciato la propria intenzione di rendersi un po’ più indipendente dalla Famiglia Reale, in un comunicato stampa piuttosto vago, considerando anche l’importanza di questa decisione senza precedenti.

 

La decisione del Principe Harry e di Meghan di rinunciare al loro status di membri senior della Royal Family

Anche la risposta della Famiglia Reale, che per altro ha dichiarato di non essere al corrente della decisione della coppia, al Principe Harry e Meghan Markle è stata piuttosto vaga, definendo tutto l’accaduto come un evento solo alle sue “fasi iniziali” che riguarda decisioni che per essere prese “richiederanno tempo”.

Nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra i duchi di Sussex e la Famiglia Reale in cui probabilmente si discuterà dei tempi e dei modi con cui il principe Harry e Meghan intendono rinunciare al loro ruolo di “membri senior” della Famiglia Reale, di dove ila coppia intenda stabilire la sua residenza e di quali saranno gli incarichi continueranno a svolgere per la famiglia. Forse si discuterà anche di come intendano costruire la loro indipendenza economica dalla corona.

 

La reazione del Web alla decisione della coppia reale

Ovviamente di fronte a questa decisione della coppia più discussa del momento, non poteva che scatenarsi la risposta di internet. Questo organismo fatto di milioni di persone, non ha infatti tardato nel far fiorire milioni di commenti ed opinioni sotto forma di meme, GIF ed hashtag. Sia che ci si trovi d’accordo o meno con la decisione del Principe Harry e di Meghan, sia che la cosa ci riguardi o meno, abbiamo comunque espresso la nostra opinione sul web, soprattutto tramite i diversi social network.

Su Twitter ad esempio c’è un nutrito gruppo di sostenitori della decisione dei duchi di Sussex, nonostante sia stata espressa la preoccupazione per le conseguenze che questa scelta potrebbe avere. Molto opinioni sono state espresse anche sul trattamento ricevuto da Meghan all’interno della Royal Family, ritenuto da qualcuno un po’ ingiusto.

Tra i video più divertenti postati su Twitter vi sono anche delle improbabili reazioni della famiglia reale alla decisione della coppia reale, coma questa clip presa dalla sitcom inglese “Gavin & Stacey”

Ad alcuni invece la decisione di Harry e Meghan ha fornito lo spunto per abbandonare le proprie famiglie.

Ma la questione che sicuramente ha scatenato la maggiore ilarità sul web, è quella della futura indipendenza economica della coppia, dove sono stati immaginati diversi scenari del Principe Harry e della sua consorte a lavoro come due quasi comuni mortali.

La guerra per l’acqua nello Zimbabwe: animali contro uomini

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Dallo Zimbabwe arrivano storie particolari che non capita di sentire tutti i giorni. In realtà risultano essere alquanto comuni in quel paese, ma raramente escono i confini nazionali, appunto. Con l’intensificarsi degli eventi però, alcuni di questi hanno raggiunto una certa notorietà a livello globale. Si tratta sostanzialmente di una guerra per l’acqua dovuta a un siccità estrema che spinge gli animali, anche quelli più impensabili, ad attaccare l’uomo a vista.

L’ultima storia in merito riguarda un 45enne attaccato da un bufalo che è stato alquanto fortunato a non subire danni gravi. Solo nel 2019 sono morte 36 persone per attacchi di animali mentre gli attacchi generali sono stati di 311. Nel 2018 i numeri erano rispettivamente 19 e 195, un differenza enorme che sottolinea una siccità sempre più pesante da affrontare.

 

Animali a caccia d’acqua

Questa mancanza di acqua sta spingendo gli animali a uscire dai soliti percorsi, dalle tane, a cerca di quel liquido indispensabile per la vita. Gli animali disperati diventano più intrepidi e si avventurano anche negli insediamenti dell’uomo. Sicuramente l‘attacco di un bufalo risulta strano, ma ci sono stati anche altri protagonisti ben più spaventosi come coccodrilli, iene, leoni e ippopotami.

I danni maggiori, almeno secondo quanto riferito dai ranger di uno dei parchi nazionali, è stata fatto dagli elefanti. Poche settimane fa, per esempio, alcuni esemplari hanno ucciso delle mucche mentre cercavano dell’acqua in un pozzo in mezzo a dei campi. La scarsità d’acqua porta inevitabilmente anche a una riduzione del cibo. Nell’arco di tre mesi sono morti più di 200 elefanti per questo motivo. Sono si gli animali che si stanno dimostrando più aggressivi, ma sono anche quelli che stanno soffrendo di più.

Sciami di droni appaiono nel cielo del Colorado e nessuno sa da dove vengano

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Dalla scorsa settimana, droni giganti di oltre un metro e un forame alto ottanta sono stati visti in Colorado, negli Stati Uniti. Le autorità nordamericane non sono consapevoli di quanti droni siano precisamente.

Alla polizia, Jon Stivers ha spiegato che i droni sono stati visti volare in formazioni, tra le 18:00 e le 22:00. “Sono stati visti mentre volavano in gruppi di 6 o 12 droni. Una persona ha assicurato di averli visti mentre volavano insieme, in gruppi di tre o quattro unità”, ha detto. Secondo la stampa, le autorità stanno indagando sulle cause di questi avvistamenti.

 

Alcune possibili spiegazioni

Allo stesso tempo, c’è chi ha suggerito che un gran numero di droni può essere spiegato da un qualche tipo di operazione di mappatura. “Quando senti parlare di un drone, magari pensi che qualcuno ha appena ricevuto un nuovo giocattolo a Natale e non conosce ancora bene le regole. Ma quando sentiamo che in tutto sono 12 e volano in formazione, molto probabilmente qualcuno sta facendo un lavoro professionale“.

L’esperto ha anche osservato che le aziende che svolgono questi compiti richiedono licenze speciali per pilotare droni in formazione o per svolgere tali attività di notte. Queste licenze avrebbero risparmiato loro la necessità di informare l’Amministrazione federale dell’aviazione (FAA) prima di ogni volo.

Avvistamenti simili di droni sarebbero stati segnalati anche in Nebraska, sebbene l’Amministrazione federale degli Stati Uniti, il Dipartimento di controllo dei narcotici (DEA) e il comando delle forze armate non abbiano informazioni su questi “misteriosi oggetti volanti“.

Su Internet, hanno iniziato a emergere diverse teorie, in particolare da parte dei netizen che suggeriscono possa trattarsi di “alieni provenienti da una galassia lontana“.

Le migliori offerte di ho. Mobile per gennaio 2020

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Le offerte dei tre più grandi operatori del nostro paese le abbiamo già viste e ora tocca ai cosiddetti operatori virtuali. Si tratta di quelle compagnie che non ha una rete propria e quindi si affidano a quelle di Vodafone, Tim e Wind. Di solito le loro offerte risultano essere molto più competitive anche se mancano tutti quei servizi che solo un grande nome può offrirti anche se c’è qualche eccezione come ho. Mobile. Quest’ultimo è l’operatore virtuale sub-brand dell’operatore rosso.

 

ho. Mobile di Vodafone: le offerte

L’operatore in questione non presenta una lunga lista di offerte e anzi, sono solo tre, ma ognuna di queste è pensata per dei precisi clienti. Ognuna di queste punta a clienti di qualcun’altro e per questo vengono garantiti specifiche interessanti a un prezzo veramente basso.

Per tutti i clienti TIM, Tre, Wind e persino Vodafone, ho. Mobile offre una minuti di chiamata verso tutti illimitati, SMS illimitati e 50 GB di traffico dati in 4G a un costo mensile di appena 12,99 euro. L’attivazione più la SIM costano appena 9,99 centesimi.

Per i clienti di Kena Mobile, Daily Telecom, ma anche per l’attivazione di una SIM nuova, ecco che vengono garantiti sempre minuti illimitati, SMS illimitati e 50 GB in 4G. Il costo a questo giro è più basso ovvero solo 8,99 euro al mese con un’attivazione e sim di 9,99 euro.

Infine c’è l’offerta pensata per i clienti di tutti gli altri operatori virtuali presenti sul nostro territorio, anche Iliad. Con un costo ridicolo di 5,99 euro al mese si ha minuti illimitati, SMS illimitati e ben 70 GB di traffico in 4G. Il costo di attivazione più SIM scende a soli 99 centesimi.

Apple: 100 euro di sconto sul nuovissimo iPhone 11 grazie ad Amazon

Apple iPhone 11 colori

Di tutti e tre gli iPhone che Apple ha rilasciato lo scorso settembre, iPhone 11 risulta essere quello più apprezzato. Le caratteristiche di alto livello e il prezzo ridotto rispetto ai modelli premium hanno fatto si che il device diventasse un vero e proprio must. Nelle scorse ore, il piccolo gioiellino è in super sconto sul noto sito di e-commerce Amazon.

Ebbene sì, quando si parla di sconti sugli smartphone Apple, soprattutto di ultima generazione, Amazon è quasi sempre al primo posto. Nelle scorse ore, l’azienda ha deciso nuovamente di sorprendere tutti i fan della mela morsicata con il lancio di una promozione sulla variante di iPhone 11 con memoria interna da 128 GB. Scopriamo insieme l’offerta.

 

Apple: 100 euro di sconto sul nuovo iPhone 11

100 euro di sconto per uno smartphone da più di 800 euro può sembrare poco. Chi conosce la politica di Apple, però, sa che ci troviamo davanti ad un grosso affare. Nelle scorse ore, Amazon ha deciso di proporre iPhone 11 con memoria interna da ben 128 GB a soli 789 euro. Come già detto, ben 100 euro di sconto rispetto al prezzo di listino di 889 euro.

Ricordiamo che il device presenta quasi tutte le caratteristiche del suo fratello maggiore, iPhone 11 Pro. Le due differenze sostanziali stanno nel display (LCD vs OLED) e nel numero di fotocamere posteriori (2 vs 3). L’unico device in promozione risulta essere quello nella colorazione bianca. Come al solito, l’offerta di Amazon risulta essere a tempo limitato. Se siete interessati, vi consigliamo di approfittare dell’offerta il prima possibile per non rimanere a mani vuote. Restate in attesa per eventuali aggiornamenti a riguardo.

La demenza colpisce le lingue parlate in modo differente tra loro

La demenza è un termine generico che indica numerose malattie neurodegenerative, riguardanti il cervello e funzioni a esso associate, che si ritrova principalmente nelle persone con più di 60 anni. Una recente ricerca in merito ha scoperto che ci sono differenze dei problemi di linguaggio dovuti alla demenza tra chi parla italiano e inglese. Mentre chi parlava inglese ha avuto difficoltà a pronunciare le parole, chi parlava italiano ha usato frasi più brevi e più semplici. I risultati potrebbero aiutare a garantire diagnosi accurate per persone di culture diverse, hanno detto i ricercatori.

 

Il problema del linguaggio per la demenza

I criteri diagnostici si basano spesso su pazienti di lingua inglese. Nello studio dell’Università della California su 20 pazienti di lingua inglese e 18 pazienti di lingua italiana, tutti avevano un’afasia progressiva primaria, una malattia neurodegenerativa che colpisce aree del cervello legate alla lingua. E’ caratteristica soprattutto dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer.

Le scansioni e i test del cervello hanno mostrato livelli simili di funzione cognitiva nelle persone in entrambi i gruppi linguistici. Ma quando i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di completare una serie di test linguistici, hanno riscontrato evidenti differenze tra i due gruppi nelle sfide che hanno dovuto affrontare.

“Pensiamo che ciò sia dovuto al fatto che i gruppi di consonanti che sono così comuni in inglese rappresentano una sfida per un sistema degenerativo di pianificazione del linguaggio”, ha dichiarato l’autore dello studio Maria Luisa Gorno-Tempini, professoressa di neurologia e psichiatria. “Al contrario, l’italiano è più facile da pronunciare, ma ha una grammatica molto più complessa, ed è così che chi parla italiano con [afasia progressiva primaria] tende a finire nei guai.”

Di conseguenza, le persone che parlavano inglese tendevano a parlare meno, mentre quelle italiane avevano meno problemi di pronuncia, ma semplificavano molto, a volte anche eccessivamente, le loro affermazioni.

 

 

Fortnite: Parco Pacifico potrebbe scomparire dalla mappa

Fortnite Parco Pacifico fango

Il noto videogioco di Epic Games, Fortnite, è in un periodo di stallo. Dopo il grosso aggiornamento natalizio, infatti, l’azienda non ha rilasciato nessun tipo di contenuto. Gli utenti aspettano impazienti una mossa. Nel frattempo, ogni piccolo cambiamento all’interno della mappa da adito ad una miriade di teorie. Scopriamo l’ultima.

Molti di voi sapranno che con la fine dell’evento natalizio tutto all’interno della mappa di gioco è tornato alla normalità. Niente più addobbi, niente più regali, ma sopratutto niente più mappa completamente innevata. E’ proprio a partire da quest’ultimo cambiamento che è nata la nuova teoria in merito ad una delle location del gioco, Parco Pacifico.

 

Fortnite: cosa accadrà a Parco Pacifico?

La casa del fenomeno videoludico degli ultimi tempi sta per fare qualcosa di grosso all’interno di Fortnite. La fine delle tempeste di neve all’interno della mappa di gioco hanno riportato tutte le location alla normalità, tranne una. Diversi dataminer hanno segnalato, infatti, che Parco Pacifico risulta essere cambiata. A cambiare è il suolo, il quale ora è ricoperto da una sorta di strato di fango. Pare che non tutti gli utenti vedano questo particolare suolo. Ciò che è certo è che la faccenda risulta essere molto strana.

Potrebbe trattarsi di un semplice bug visivo. Tuttavia, molte volte i bug non hanno fatto altro che annunciare cambiamenti all’interno della mappa. Da qui la nascita della nuova teoria, Parco Pacifico scomparirà presto dalla mappa per lasciare spazio ad una palude. Sarà davvero così? Restate in attesa per eventuali aggiornamenti a riguardo.

L’aumento delle temperature del Miocene fu mitigato dall’innalzamento del livello del mare

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Antichi fossili marini hanno portato gli scienziati fare una scoperta significativa: l’innalzamento del livello del mare potrebbe aver contribuito a prevenire il riscaldamento globale 14 milioni di anni fa, evitando un’estinzione di massa. I ricercatori dell’Università di Cardiff hanno infatti studiato fossili risalenti all’ultimo periodo storico in cui era nota l’incidenza del riscaldamento globale: il Medio Miocene, in cui vi fu un aumento del livello di attività vulcanica che causò un aumento delle temperature globali.

 

Durante il Miocene, l’intensa attività vulcanica fece aumentare le temperature globali di 12 gradi

In quel periodo i mari erano pieni di vita e la cosa ha spiazzato i geologi, stando alle dichiarazioni del team di ricerca di Cardiff. Il team afferma che i loro risultati suggeriscono che gli effetti più significativi del fenomeno siano stati mitigati dall’innalzamento del livello del mare, causato da temperature globali sempre più elevate. L’aumento della temperatura di 12 gradi che si pensa sia intervenuto in quel periodo è simile all’aumento previsto per il 2100 se non dovesse cambiare nulla nei livelli di emissione del carbonio.

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I ricercatori sostengono che un ruolo significativo fu svolto da uno spesso strato roccioso ricco di petrolio, noto come “formazione di Monterey“, lungo tutta la costa della California. “Il nostro pianeta è già andato incontro ad aumenti delle temperature così impattanti molto tempo fa“, ha dichiarato Carrie Lear, scienziata che ha partecipato allo studio. “Possiamo usare antichi fossili per aiutarci a comprendere come funziona il sistema climatico in questo controverso periodo storico“. Lear e il suo team hanno utilizzato i fossili marini prelevati dai sedimenti presenti negli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano al fine di rilevare la temperatura e i livelli di carbonio dell’acqua di mare.

 

Oggi il processo sta procedendo molto a rilento, ma potrebbe essere già tardi

Essi hanno scoperto che massicce eruzioni vulcaniche rilasciarono grandi quantità di CO2 nell’atmosfera e innescarono un abbassamento vertiginoso del pH degli oceani. “Con l’aumento della temperatura globale anche il livello del mare è aumentato, allagando vaste aree continentali“, ha affermato Lear. Ciò ha innescato un fenomeno geologico in grado di trattenere grandi quantità di carbonio, accumulatisi anche negli organismi marini seppelliti dai sedimenti.

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L’elevata attività degli ecosistemi marini e l’interramento del carbonio hanno contribuito a rimuovere parte dell’anidride carbonica dai vulcani“, ha affermato Sindia Sosdian, coautrice dello studio. “Questo ha mitigato alcuni, ma non tutti, degli effetti climatici associati all’emissione di CO2 vulcanica. Oggi, la presenza della calotta glaciale antartica e il rilascio relativamente lento di anidride carbonica hanno minimizzato l’entità del cambiamento ambientale“, ha affermato Sosdian.

Apple sostituisce gratuitamente alcuni modelli di Smart Battery Case

Apple Smart Battery Case

Sono oramai anni che Cupertino lancia cover ufficiali per i propri smartphone. Tra le diverse disponibili, una delle più interessanti è sicuramente la Smart Battery Case. La cover con batteria integrata presentata la prima volta per iPhone 6S ha riscosso così tanto successo [appbox chromewebstore ]che Apple continua a produrla anche per i super efficienti iPhone 11. Nelle scorse ore, è giunta nota di una serie di modelli difettosi. Nessun problema, però, Apple li sostituisce gratuitamente.

Ebbene sì, pare proprio che una fetta di Smart Battery Case abbia avuto dei difetti di produzione. Dopo le varie lamentele di alcuni utenti e le indagini di Apple, arriva la conferma. Alcune Smart Battery Case per iPhone XS, XS Max e XR verranno sostituite gratuitamente da Cupertino. Ecco come procedere.

 

Apple: ecco come sostituire la Smart Battery Case

Stando a quanto dichiarato dalla casa della mela morsicata, gli unici modelli di Smart Battery Case affetti dalla problematica sono quelle per iPhone XS, XS Max e XR prodotte tra gennaio e ottobre 2019. Il problema di fabbrica può manifestarsi in diverse forme. Alcuni utenti hanno lamentato caricamenti ad intermittenza dell’accessorio, altri dello smartphone stesso. In alcuni casi, il caricamento del dispositivo addirittura non avveniva. Cupertino ha tranquillizzato gli animi, non ci sono pericoli di sicurezza.

Tutti gli utenti che hanno una Smart Battery Case affetta da questo tipo di problematiche possono tranquillamente recarsi presso un qualsiasi Apple Store per ricevere una sostituzione gratuita del prodotto. Cupertino ha fatto sapere che smaltirà il prodotto nel pieno rispetto dell’ambiente.

Allungare l’aspettativa di vita potrebbe essere possibile grazie ai nematodi

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Gli scienziati sono riusciti ad allungare l’aspettativa di vita di una specie di verme del 500%, segnando un traguardo molto importante, che potrebbe essere utile a sintetizzare farmaci anti-invecchiamento utilizzabili sugli esseri umani. Il Caenorhabditis elegans, un nematode che condivide alcuni tratti genetici con l’uomo, normalmente vive per circa 3 o 4 settimane, ma modificando dei filamenti di DNA, un team di ricerca composto da scienziati statunitensi e cinesi è stato in grado di “progettare” un esemplare che è stato in grado di vivere per 14 settimane, ossia cinque volte la sua normale aspettativa di vita.

 

Gli scienziati sono riusciti ad allungare l’aspettativa di vita di questi vermi di circa cinque volte

La scoperta potrebbe portare a terapie combinate destinate agli esseri umani, capaci di ritardare il processo di invecchiamento, più o meno allo stesso modo delle terapie utilizzate per il trattamento di alcuni tipi di cancro e dell’HIV. C. elegans è una specie di verme non parassita, lunga circa 7 centimetri. La specie viene abitualmente utilizzata dagli scienziati in molte ricerche sull’invecchiamento umano perché essa condivide molti dei suoi geni con l’uomo; entrambe le specie condividono infatti un antenato comune.

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Questa “somiglianza” consente agli scienziati di sperimentare gli effetti degli interventi genetici e ambientali nei vermi per cercare di estendere la durata della vita. Per questo motivo, il team è stato sorpreso di scoprire un aumento di cinque volte della durata della vita, un aumento molto al di sopra del previsto. “L’estensione della vita di questa specie è stata davvero una scoperta incredibile“, ha affermato il dottor Jarod Rollins, assistente professore presso l’MDI Biological Laboratory e autore principale dello studio.

 

Non è facile applicare i risultati agli esseri umani, ma la scoperta costituisce un tassello importante

I nostri risultati dimostrano che nulla in natura esiste per caso; al fine di sviluppare trattamenti anti-invecchiamento più efficaci, dobbiamo guardarci intorno e cercare in natura percorsi tali da poterci aiutare a raggiungere i nostri intenti“. Numerosi farmaci che estendono l’aspettativa di vita sono infatti in fase di sviluppo, ma potrebbe passare molto tempo prima che questi trattamenti siano efficaci negli esseri umani. “L’attività di modifica genetica nell’uomo potrebbe non avere effetti significativi come abbiamo visto sui vermi, ma potrebbe sicuramente aiutare a trattare diverse patologie“, ha dichiarato il dottor Rollins.

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È improbabile che apportare gli stessi cambiamenti negli umani generi un aumento di cinque volte della longevità, dal momento che siamo geneticamente molto più complessi del nematode: abbiamo un’immunità adattativa, sistemi cardiovascolari e cervelli complessi, tutti elementi che questi vermi non hanno“, continua Rollins. “Probabilmente ci vorrà una ricerca ancora più mirata in tal senso prima di poter ottenere risultati simili sugli esseri umani senza effetti collaterali“.

Avviata un’indagine sul “sarcofago nucleare” americano nel Pacifico

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Il Congresso degli Stati Uniti ha richiesto al Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti di indagare sullo stato attuale di The Runit Dome, un ex deposito di scorie nucleari che è ora a rischio a causa del cambiamento climatico.

Il “sarcofago nucellare” è una cupola in cemento di 45 cm di spessore e 115 metri di diametro situata su Runit Island, nell’Atollo Enewetak, sulle Isole Marshall, nell’Oceano Pacifico. È il risultato di programmi di test atomici della guerra fredda. 

La richiesta del Congresso fa parte del nuovo National Defense Authorization Act, firmato la scorsa settimana dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Non oltre 180 giorni dopo la data di entrata in vigore di questa legge, il Segretario per l’Energia invierà ai Comitati di servizi armati del Senato e alla Camera dei Rappresentanti un rapporto sullo stato del vertice delle Isole Marshall“, si legge.

Le autorità statunitensi dovrebbero inviare un rapporto a metà giugno sullo stato del vertice, nonché sui suoi effetti attuali e futuri sull’ambiente. Il documento dovrebbe includere anche una valutazione dei rischi che il “sarcofago” comporta per gli abitanti e un piano di ripristino dettagliato in modo che “non abbia alcun effetto dannoso sulla popolazione locale, l’ambiente o la fauna selvatica“.

 

Un crollo sotto gli effetti dei cambiamenti climatici

Una recente indagine del Los Angeles Times ha recentemente rivelato che la cupola – di quattro decenni d’età – sta per aprirsi e crollare a causa dell’innalzamento del livello del mare e di altri effetti dei cambiamenti climatici.

Il deposito contiene l’equivalente di 35 pozzi olimpici di terra e scorie radioattive, comprese quantità letali di plutonio, prodotte dagli Stati Uniti. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno lanciato 67 bombe atomiche sulle Isole Marshall. Alla fine degli anni ’70, i detriti esposti alle radiazioni sulle sei isole furono trasportati in una fossa gigante sull’isola di Runit, quindi mescolati con cemento e sepolti in una cupola.

Scozia: scoperte tracce di una nuova era glaciale

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Le prove di una glaciazione a noi sconosciuta sarebbero nelle rocce delle Highlands scozzesi. Questo è quanto pubblicato da un nuovo studio geologico, che potrebbe riscrivere la storia dell’evoluzione del pianeta. 

Gli scienziati della University of Aberdeen hanno analizzato le rocce di Torridon, nelle Highlands nordoccidentali scozzesi, e hanno scoperto detriti che, solitamente, sono il prodotto dello scioglimento dei ghiacci in laghi. Queste rocce risalgono al cosiddetto “miliardo noioso”, un periodo che secondo i geologi è iniziato 1800 milioni di anni fa e si è concluso 800 milioni di anni fa. È definito noioso perché si credeva che fosse un’era relativamente tranquilla nell’evoluzione terrestre. Tuttavia, questa recente scoperta suggerisce che quegli anni possano esser stati testimoni di un’altra glaciazione, oltre a quelle che già conosciamo.

 

Il miliardo noioso non era poi tanto noioso

La scoperta è stata resa possibile dal Professor Adrian Hartley e dalla sua squadra della University of Aberdeen, che hanno pubblicato un articolo sullo Scottish Journal of Geology. “Nel cosiddetto miliardo noioso, il clima globale era temperato e invariato. Le uniche forme di vita erano le alghe negli oceani, la terra era una landa desolata e sterile, mentre l’ossigeno era solo un decimo di quello attuale”. Il nome infatti assegnato a quel periodo di tempo fa pensare che in quel miliardo di anni sulla Terra, che non ci siano stati cambiamenti climatici. Ma questa scoperta è la prova dell’esistenza di ghiaccio sulla superficie terrestre.

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“Siamo arrivati a questa conclusione analizzando sedimenti lacustri limosi, vecchi un miliardo di anni: questo ci ha permesso di individuare i luoghi dove erano caduti i ciottoli dai ghiacci in scioglimento, e avevano formato il fondale lacustre, alterando strati di sedimento ancora più antichi. Studi simili ci hanno aiutato a ricostruire la recente storia glaciale della Terra, ma in questo caso la ricerca ci portato di gran lunga indietro nel tempo, a quando la Scozia si trovava al 35° parallelo sud, alla stessa latitudine del Sud Africa”. Alla luce di questa scoperta, gli esperti concordano sul fatto che, forse, quel miliardo di anni non deve essere stato poi così noioso.

La NASA dà il via libera al suo nuovo aereo supersonico silenzioso

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La NASA ha appena dato il via libera per l’assemblaggio finale e l’integrazione dei sistemi del suo primo aereo supersonico silenzioso con equipaggio (X59). L’aereo ha già superato i test di sviluppo ed è ora nelle sue fasi finali.

In una nota pubblicata sul suo sito Web, l’agenzia spaziale statunitense spiega che è stata ottenuta solo ora l’autorizzazione dopo una revisione amministrativa nota come Key Decision Point-D (KDP-D). Questo è stato l’ultimo ostacolo programmatico che l’aereo X-59 QueSST (Supersonic Silent Transport) ha dovuto superare prima che le autorità competenti si incontrino alla fine del 2020 per approvare il primo volo dell’aereo, previsto per il 2021. “Con il completamento di KDP-D, abbiamo dimostrato che il progetto è pianificato, ben pianificato e sulla strada giusta“, ha dichiarato la NASA.

 

X-59 nel dettaglio

X-59 metterà alla prova le sue tecnologie supersoniche silenziose quando sorvolerà alcune comunità degli Stati Uniti. L’aereo della NASA è stato progettato in modo che le persone sulla Terra non sentano altro che un “rumore ovattato e silenzioso” durante il volo supersonico.

Secondo quanto si legge, l’aereo dovrebbe produrre un boom sonico di soli 75 decibel, l’equivalente di una chiusura della portiera di un’auto. L’aereo, che sarà autorizzato a volare a bassa quota, potrebbe inaugurare una nuova era per l’aviazione commerciale.

Il progetto, che costa oltre 247,5 milioni di dollari, è in corso nello stabilimento Skunk Works della Lockheed Martin Aeronautics Company a Palmdale, in California.

L’assemblaggio finale e l’integrazione del sistema sono previsti entro la fine del 2020.

La nuova vita degli scarti nucleari: la creazione di altri elementi

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L’energia nucleare. Si potrebbero fare dei dibattiti infiniti su questa fonte di energia. Da un lato c’è la possibilità di produrne in grandi quantità andando a ridurre sensibilmente l’uso di sostanze più inquinanti come il carbone. Dall’altra c’è la paura di incidenti disastrosi come Chernobyl o Fukushima; tralasciando tutte le fake in news che passano in merito che vanno solo a esacerbare il discorso rendendo impossibile una discussione sensata. In realtà il problema più pesante legato a questi impianti è la produzione di scorie, di scarti nucleari.

Detto questo, alcuni chimici sembravano aver trovato un nuovo modo per sfruttare proprio questi scarti e trasformarli in sostanze chimiche di base e nuove fonti di energia. Per esempio, sfruttando un catalizzatore contenente uranio impoverito, uno di questi scarti, sono stati in grado di convertire l’etilene in etano.

 

Nuove frontiere per gli scarti nucleari

Le parole del professore Richard Layfield: “La capacità di convertire gli alcheni in alcani è un’importante reazione chimica che significa che potremmo essere in grado di prendere molecole semplici e aggiornarle in preziose sostanze chimiche di base, come oli idrogenati e prodotti petrolchimici che possono essere utilizzati come fonte di energia. Il fatto che possiamo usare l’uranio impoverito per fare ciò fornisce la prova che non abbiamo bisogno di averne paura in quanto potrebbe effettivamente essere molto utile per noi.”

La scoperta gira intorno a una molecola organometallica. Quest’ultima potrebbe aiutare a usare l’uranio impoverito che attualmente viene semplicemente immagazzinato in bunker per via della radioattività. Si andrebbe a creare etano dall’etilene, non una novità, ma lo è attraverso questo tipo di catalizzatore.

Giove fa il bullo spaziale: ci lancia addosso comete e asteroidi

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Nel nostro Sistema Solare sembrerebbe esserci un bullo, o per lo meno è quello che pensano alcuni astronomi. Si tratta di Giove il quale è colpevole di lanciarci addosso comete e asteroidi potenzialmente pericolosi. È una teoria particolare in quanto finora si credeva che invece il colosso gassoso fungeva da un enorme scudo che invece intercettava questi oggetti volanti. Quest’ultima credenza ha via via perso il favore dei ricercatori nei vari anni e probabilmente è giunta al capolinea.

Il maggior esponente della nuova teoria è Kevin Grazier il quale già nel 2008 aveva proposto la nuova idea. Attraverso vari simulazioni lui e il suo team hanno cercato di capire come Giove possa catturare con la propria orbita le rocce per poi spedirle verso l’interno quindi anche verso di noi. Il risultato degli esperimenti ha evidenziato qualcosa di ancora più particolari che in realtà va a fondere le due teorie.

 

Giove bipolare: bullo e salvatore

Il Sistema Solare si può dividere in due parti, quello interno e quello esterno. Gli oggetti volanti si trovano in entrambi queste parti e le forze gravitazionali interferiscono con i viaggi di quest’ultimi sono diverse. Apparentemente è vero che Giove funge da protezione interna andando ad attirare asteroidi o comete già presenti. Nello stesso modo però, il pianeta attrae gli oggetti presenti nella fascia esterna e li spedisce verso all’interno. Quanto siano pericolosi non è detto, ma per fortuna abbiamo uno scudo più affidabile in merito, la cara e vecchia Luna. Ogni cratere sulla sua superficie è una medaglia al valore.

Playstation Store, The Last of Us votato come miglior gioco del decennio

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Negli ultimi anni, grazie alla tendenza sempre maggiore di acquistare i giochi digitalmente e non più fisicamente nei vari negozi, le varie piattaforme apposite, come per esempio PlayStation Store, hanno avuto una grande crescita. Milioni e milioni di persone acquistano giochi sulla piattaforma, approfittando anche delle continue e numerose promozioni che vengono proposte. Da ricordare, inoltre, anche che chi è abbonato al servizio PlayStation Plus può scaricare due giochi gratuitamente e giocarci finché è abbonato.

 

 

I giochi del decennio votati su PlayStation Store

Con la fine dell’anno 2019, si è concluso un anno molto ricco di videogiochi, con tantissimi titoli e miglioramenti che si sono di anno in anno svolti. Su PlayStation Store, in merito a ciò, è stato chiesto agli utenti di votare i giochi migliori, a loro parere, del decennio 10′.

Al primo posto, troviamo indisturbato The Last of Us, il surviror horror del 2015 che nonostante siano passati diversi anni continua a restare nei cuori dei videogiocatori, che non vedono l’ora di poter giocare al secondo capitolo. Successivamente, troviamo il nuovo capitolo della saga God of War, esclusiva Sony uscito nel 2018 che ha vinto numerosi premi. Ed infine, a concludere il podio, troviamo The Witcher 3, il gioco open-world fantasy che in queste settimane sta letteralmente spopolando grazie all’uscita della serie tv su Netflix.

Ecco la classifica completa dei giochi migliori del decennio appena conclusosi:

  • The Last of Us
  • God of War
  • The Witcher 3: Wild Hunt
  • Grand Theft Auto V
  • Red Dead Redemption 2
  • The Elder Scrolls V: Skyrim
  • Horizon Zero Dawn
  • Bloodborne
  • Uncharted 4: A Thief’s End
  • Marvel’s Spider-Man
  • Persona 5
  • Dark Souls
  • Call of Duty: Black Ops II
  • NieR: Automata
  • Death Stranding
  • Red Dead Redemption
  • Mass Effect 2
  • Fortnite
  • Batman: Arkham City
  • Resident Evil 2.

Un pesce in difesa delle barriere coralline: una guerra contro le alghe

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Come sappiamo bene, le barriere coralline di tutto il mondo stanno soffrendo. La causa principale sono i cambiamenti climatici, l’aumento delle temperature delle acque che sta uccidendo queste particolari forme di vita. Insomma, l’uomo ha un’enorme fetta di colpa. Ci sono anche altre ragioni dietro alla sofferenza delle suddette barriere e la colpa è sempre dell’uomo. La pesca intensiva in certi luoghi va a catturare tutte le specie di pesci che le reti trovano, anche i pesci pappagallo.

Quest’ultimi possiamo vederli come degli erbivori d’acqua. Pascolano sulle barriere coralline mangiando tutte le alghe che trovano sul loro percorso, il che è un bene. Se lasciate a loro stesse le alghe crescono a dismisura andando a soffocare i coralli. Uno studio, basandosi su questa conoscenza, sta cercando di proporre metodi di pesca intelligente così da salvaguardare questa specie che a loro volta salvare i coralli.

 

Pesci, barriere coralline e alghe

Le parole di Andrew A. Shantz, autore dello studio in questione: “Le barriere coralline sono incredibilmente belle e intrinsecamente preziose. Proteggono anche migliaia di miglia di costa e forniscono l’habitat per la sorprendente biodiversità che è la principale fonte di proteine ​​per quasi un miliardo di persone in tutto il mondo. Comprendere in che modo la pesca influisce sugli ecosistemi corallini ci aiuterà a proteggere questa preziosa risorsa. A meno che non possiamo sviluppare e attuare strategie di pesca che mantengano una sana distribuzione delle dimensioni dei pesci, ad esempio un sistema basato su slot con limiti di dimensione minima e massima, i coralli in queste regioni (i Caraibi) sono a rischio“.

Panasonic presenta i suoi nuovi “occhiali VR”, in pieno stile steampunk

Panasonic

Panasonic ha presentato al CES di Las Vegas i primi occhiali al mondo con tecnologia High Dynamic Range (HDR). Questa tecnologia consente agli utenti di visualizzare contenuti sfruttando una gamma più ampia di colori ed effetti di luce rispetto a quella in dotazione su un display tradizionale. Il visore, che presenta un interessante “stile steampunk” è dotato di auricolari su ognuna delle cinghie e secondo la ditta giapponese è stato progettato in un modo che gli utenti si sentano come se stessero indossando dei normali occhiali.

 

Il nuovo visore di Panasonic è frutto di una collaborazione con la Kopin Corporation, leader nel settore dei dispositivi VR

Panasonic ha anche messo a punto una tecnologia in grado di proiettare immagini più fluide e più naturali, senza il cosiddetto “effetto-porta”, che si riscontra nella maggior parte dei visori per la realtà virtuale. Gli occhiali VR tradizionali tendono ad essere molto grandi e avvolgono quasi tutta la testa dell’utente, ma Panasonic ha intrapreso una strada diversa, come mostra il suo originale design, che imita degli occhiali tradizionali. L’azienda giapponese ritiene che questo, apparentemente solo estetico, accorgimento possa rendere più naturale e confortevole il visore per chi lo indossa.

Panasonic

Per i suoi nuovi “occhiali VR”, Panasonic ha poi sviluppato un dispositivo di visualizzazione ad alte prestazioni in collaborazione con Kopin Corporation, leader nella produzione di dispositivi di visualizzazione per occhiali VR. “Le tecnologie audio e video di Panasonic sono state montate su questo nuovo dispositivo, comprese quelle di elaborazione del segnale conosciute grazie allo sviluppo di apparecchiature video come TV e lettori Blu-ray“, ha spiegato Panasonic.  “L’uso del modulo ottico di ultima generazione di Kopin Corporation consente la visualizzazione di immagini naturali e prive di distorsioni“, si legge tra le dichiarazioni dell’azienda. “Un design compatto e leggero ci ha permesso di adottare una forma che ricorda molto un paio di occhiali“.